Translate

mercoledì 25 maggio 2022

Guerre & Business

 della serie: sull’orlo del baratro

quarta puntata


Carissimi Resistenti,

proprio il giorno dopo aver letto la terza puntata nella quale dite, in chiusura:

“Guerra, non importa da chi, contro chi e perché, uguale DISTRUZIONE. Materiale. Ponti, strade, ferrovie, case, città, ambiente, piantagioni, strumenti di lavoro, ospedali, scuole. E molto altro. Immateriale. Giustizia, verità, solidarietà, cooperazione, comprensione, amicizia, serenità, pace, rispetto, laboriosità, Politica con la P maiuscola o arte del possibile. E molto altro. Ed  infine Esseri Umani. In carne ed ossa. Fatta a pezzi. DOPO bisogna  RI-COSTRUIRE. E qui si annida la perversità di un Sistema Storico Globale che deve continuamente CRESCERE. E che quando non può più crescere, crea condizioni tali per cui, in un modo o nell’altro si arriva, quando non bastano più le distruzioni "creatrici" alle DISTRUZIONI distruttive e basta. Per poi ricominciare daccapo. A CRESCERE..........fino alla.........prossima volta...........” 

verso le 7,30 a Prima Pagina (Radio 3) (non ha mai messo piede in casa mia quella scatola "magica" che voi chiamate TeleVisione) la brava conduttrice di questa settimana -Serena Danna vicedirettrice del quotidiano on line "Open"- ha segnalato l’articolo che vi allego. Comperato in edicola alle 7 e 55, ribattuto parola per parola e virgola per virgola dal sottoscritto in due ore di duro lavoro digitale, rigorosamente con 2 (dicesi due) dita.  Vi propongo di sottoporlo ai vostri affezionati lettori. Casca “a fagiolo”, come si dice. Mi pare.  Quando si dice il destino. O -forse- il caso?

Sempre vostro romantico eroe insonne.


LA STAMPA

Martedì 24 maggio 2022  pagina 11

Titolo

“Il tesoro della ricostruzione Johnson è in pole position”

Sottotitolo

“Il leader ucraino propone di affidare una ragione a ogni Stato europeo un business da 500 miliardi che può rilanciare l’economia continentale”

di Anna Zafesova


"Nel  “Servo del popolo”, la brillante serie comica che ha portato al potere Volodymyr Zelensky, c’è una scena esilarante, con gli oligarchi avversari del presidente onesto che giocano a un Monopoli disegnato a forma di Ucraina, contendendosi porti, miniere e fabbriche. Ieri a Davos il leader ucraino ha proposto una nuova versione di questo gioco alla business community del mondo intero.

Ogni paese, città o società estera potrà “adottare” una regione, o un settore industriale dell’Ucraina per patrocinarne l’immensa opera di ricostruzione postbellica, una partita valutate per ora -a guerra ancora lontana dalla conclusione, e in maniera totalmente approssimativa- in 500-600 miliardi di dollari. Un disastroso buco senza fondo, che però potrebbe diventare anche l’affare del secolo, con un nuovo piano Marshall, che l’Occidente e in particolare l’Europa probabilmente finanzieranno e garantiranno, almeno in parte.

Molti hanno ricordato in questi mesi il passato di attore di Zelensky, per spiegare la sua immensa abilità nella comunicazione, che gli ha fatto vincere con grande distacco la classifica dell’anno votata dai lettori della rivista Time. Pochi si ricordano che il presidente ucraino è anche un imprenditore di successo. I film e la serie creata dalla sua casa di produzione sono tra i campioni di incassi, anche in Russia. Sa benissimo che parlare agli imprenditori di diritti, di libertà, dei morti di Bucha, significa parlare a loro come persone, ma non ai loro bilanci, ai dividendi che devono versare ai loro azionisti e agli stipendi che devono pagare ai loro dipendenti. E così sceglie di parlare da uomo d’affari e dire loro che il mio Paese diventerà il più grande progetto infrastrutturale e tecnologico dell’Europa. Chi arriva prima si prende il meglio (é da qualche settimana che gira la voce che la ricostruzione di Kyiv e regione verrà patrocinata dal Regno Unito, un diritto di prelazione conquistato da Boris Johnson con il suo appoggio militare e politico). Ma ci saranno ricche occasioni di investimento per tutti: bisognerà ricostruire ponti che ora vengono fatti saltare, magazzini centrati dai missili russi, fabbriche devastate dalle bombe e quartieri interi rasi al suolo. Bisognerà ricoltivare campi bruciati e rimettere in piedi scuole e ospedali inceneriti, riasfaltare strade sbriciolate dai cingolati dei carri e ricostruire da zero gli aeroporti, colpiti dai missili russi già nelle prime ore. 

Un cantiere immenso in un Paese che ha appena dimostrato di avere una capacità di mobilitazione e una popolazione preparata, con la guerra che potrebbe far esplodere, tra tante altre cose, anche reti di complicità corrotta degli oligarchi. Zelensky promette particolari privilegi alle società che esitano ancora ad uscire dal mercato russo e ai Paesi che temono di voltare le spalle a Mosca, forse anche a quelle della Cina la cui delegazione a Davos è l’unica a non applaudire in piedi il suo discorso. Si rivolge proprio a quei seguaci della “real politik” che –come lui sa benissimo- stanno premendo oggi sui governi per fermare gli scontri, concedere a Putin pezzi di Ucraina per “salvare la faccia” e togliere almeno una parte delle sanzioni contro la Russia per tornare a farci affari. Il suo messaggio ai giocatori del Monopoli è straordinariamente pragmatico: mentre il rischio Paese della Russia è alle stelle, il piano Marshall ucraino potrebbe diventare un motore propulsivo di portata continentale di cui si sentiva il bisogno, e sul quale si sta già lavorando, a Kyiv come a Bruxelles e a Washington. Chi deciderà di restare fuori rischia non solo di puntare su un alleato imbarazzante, ma di fare anche un calcolo sbagliato.”

                                                                  Fine dell'articolo.


Anna Zafesova è vicecaposervizio presso La Stampa. Si occupa di problematiche russo-ucraine.


(continua)


Redazionale
I  post in evidenza all’apertura del blog sono soltanto gli ultimi cinque pubblicati.
Per trovare quelli più vecchi utilizzare la mappa tematica.




venerdì 13 maggio 2022

Sull'orlo del baratro 3

 Terza puntata



Il baratro, perlomeno nella forma di  “spettacolare” (qui siamo giunti) conflagrazione globale, magari -perché no?- nucleare sembra, per il momento, quasi scongiurata. - Sembra - per il momento - e  - quasi -Tutto doppiamente sottolineato.

Lo farebbero pensare:

-le larvate aperture alla trattativa del Presidente ucraino. Immediatamente bacchettato però dal Segretario Generale della NATO;

-il discorso “sottotono” del Presidente russo alla parata moscovita dell’8 maggio;

-il richiamo del Presidente francese al fatto che, quando la guerra sarà finita, sottinteso perché la vinceranno gli aggrediti ed i loro sostenitori, dovremo evitare -bontà sua e nostra- di cedere alla sciagurata tentazione di umiliare la Russia;

-per quanto vale, il timido, cauto richiamo del nostro Presidente del Consiglio in visita a Washington sul fatto che sarebbe -forse- opportuno orientarsi verso il negoziato tra le parti in causa.

Solo la settimana scorsa tirava un’aria decisamente diversa. Non è il caso comunque di farsi illusioni.

La “partita” resta più che mai aperta. La secca, intransigente chiusura di Stoltenberg non fa ben sperare e la dice lunga su chi non vuole la trattativa. Così come la corsa al riarmo europeo, la conferma “occidentale” dell’ampio sostegno militare agli aggrediti nonché l’annunciata adesione alla NATO di Paesi storicamente neutrali. Tutti segnali che vanno in una ben precisa direzione.

Pochi giorni orsono, quando da una parte il Presidente russo tuonava minacce nucleari, peraltro risfoderate proprio mentre scriviamo, e dall’altra  venivano confermate radicali intransigenze, condite addirittura da malriposte speranze di Vittoria da parte degli aggrediti sugli aggressori, c’è stato un momento nel quale le cose sembravano precipitare. Al punto che ci è venuto spontaneo pensare, con un certo rimpianto, ai bei vecchi tempi della “guerra fredda”. Quasi che quello fosse un tempo di ingenua innocenza, ormai irrimediabilmente perduto. Abbiamo sentito nell’aria come una sorta di “vibrazione” di tale natura. Se non si trattasse di una sensazione solo e squisitamente soggettiva questo la direbbe lunga su quanto è cambiato -in peggio- il mondo e su come -malissimo- siamo messi a distanza di mezzo secolo soltanto. 

Il solo fatto di poter dire, e pensare, che un conflitto bellico globale nucleare potrebbe anche rientrare nel novero di reali possibilità, ci dice il baratro psicologico, mentale, valoriale e culturale nel quale siamo già precipitati.

C’è poco da stare allegri. Supponiamo che per una favorevole serie di circostanze si addivenisse ad un onorevole accordo che mettesse ad una -provvisoria- fine le ostilità attualmente in corso nel cuore dell’Europa. Potremmo tirare un sospiro di sollievo e considerarci ritornati, grazie al cielo, alla “normalità”? Non siamo di questo parere. Dal momento che la polveriera globale sarebbe tutt’altro che neutralizzata. 

Ricordiamoci che le guerre attualmente in corso sul globo terraqueo, censite recentemente (2020) dalla Università svedese di Uppsala, sono ben 169 (centosessantanove). Di cui 3 (tre) sono tra Stati Nazionali. Russia-Ucraina. India-Pakistan. Cina-India. Diventano 4 (quattro) se consideriamo il conflitto mediatico-militare  nel Medio Oriente che vede coinvolti Israele, Stato Palestinese ed Iran. 

Ne restano 165 (centosessantacinque) sparse per il mondo, ma raggruppate in una ben precisa fascia definita “Caoslandia” (terminologia a nostro parere non appropriata) nel numero di marzo della rivista italiana di geopolitica “Limes” (Cartina a colori 8 tra la pagina 16 e la 17).  Fascia che partendo dal Centro America prende quasi tutto il Continente africano, gran parte dell’Asia centro-meridionale, per terminare con una cospicua parte del Sud-Est asiatico. Più caso Corea del Nord. Guerre civili e/o tra fazioni e/o tra etnie e/o tra “gruppi” di interesse economico-politico,  gli uni contro gli altri armati. Chissà da chi. E perché. Condotte direttamente dalle “parti” in campo e/o per procura e/o con l’utilizzo di mercenari. Ben  125 (centoventicinque) sono guerre di questa tipologia.  In 21 (ventuno) casi si tratta di guerre condotte da Stati contro popolazioni civili classificate come “minoranze”. 

La fonte di tali dati è la già citata Università svedese di Uppsala (Depatement of Peace and Conflict Research) riportati da Lucia Capuzzi in un articolo comparso sul quotidiano “Avvenire” del  1 maggio sotto il titolo “ Così il silenzio uccide in 169 guerre nel mondo”

A differenza della guerra Russo-Ucraina in corso, si tratta di guerre “lontane” che si consumano perciò nella totale indifferenza dell’apparato mediatico e quindi del pubblico “occidentale”.

Ma non basta. Se è vero, come pare sia vero, che la guerra Ucraino-Russa, nelle regioni russofone e separatiste del Donbass era in corso, chissà perche ignorata, da ben 8 (otto) anni.

Tra le tante -troppe- cose pochissimo chiare  nonché  “strane” di questo tragico frangente bellico ve n’è una che ci tormenta da qualche giorno. Persino durante il sonno. Vogliamo raccontarvrela a costo di passare per “complottisti”. O quasi.

Il ragionamento potrebbe partire da questa domanda: perchè e come mai Putin, che pazzo probabilmente non è e, tanto meno, stupido, ha attaccato  l’Ucraina scavandosi così, da solo, la fossa?


Start Magazine      leggi qui 

"Perché Putin non attaccherà l’Ucraina (checché ne dicano gli Usa)". L’analisi di Caracciolo (Limes)

di Lucio Caracciolo

"Se Putin dovesse invadere l’Ucraina e marciare su Kiev, si scaverebbe la fossa da solo."

 L’analisi di Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, pubblicata il 14 febbraio sul quotidiano La Stampa.

Stupefacente!

Perché una “mossa” così chiaramente, completamente e tragicamente sbagliata da ogni punto di vista.  Politico, tattico e strategico? Che ha dato il destro all’amministrazione USA  con il relativo seguito di Apparati Vari, di Alleati Europei e di vasta parte di Opinione Pubblica Occidentale per metterlo nell’angolo?

Allora le ulteriori domande potrebbero essere:

1. Non è che, per caso, lo “Zar” è stato volutamente messo, mediante una lunga preparazione, nelle condizioni di non potersi far sentire in altro modo?

2. Non è che, per caso egli, accecato dalla propria esuberanza muscolare, è ingenuamente e stupidissimamente caduto nella  trappola?

Rifiutiamo categoricamente l’ eventuale,  immancabile, accusa  di “complottismo”. Il sospetto è legittimo e fondato. Sulla base della elementare logica deduttiva. Nonché della elementare logica contro-deduttiva. Nonché sulla stupefacente dichiarazione di Caracciolo del 14 febbraio. Nonché, ancora, su una serie di altre voci.

Di seguito un primo piccolo e parziale elenco.

Italia Oggi          leggi qui     

"“Putin è caduto nella trappola che fu ipotizzata dagli americani” di Franco Adriano


La Stampa          leggi qui

“Lo Zar si è lasciato adescare, ora è nella trappola degli Usa. Ha rinunciato all’Occidente e questo ci avvicina più che mai a un confronto finale. Ma non ho fiducia negli uomini politici, mancano gli statisti: spero solo in Macron.”    OLIVER STONE 12 Marzo 2022 alle 01:00


Infosannio  Notizie on line          leggi qui

BY INFOSANNIO ON 6 MARZO 2022 • ( 9 COMMENTI )

“Putin è caduto nella trappola?”


C’è di che continuare ad avere qualche  “preoccupazione”. Il mondo, dopo qualche millennio di “umana” “civiltà” è una plumbea, soffocante, maleodorante polveriera pronta all’esplosione. Che può avvenire da un momento all’altro, per i più svariati  “motivi” e “grazie” ai più diversi “protagonisti”. E protagonismi. 

La Terza Guerra Mondiale “a pezzi”, richiamata in più occasioni da Papa Bergoglio è da tempo incominciata. Non ce ne siamo accorti. O abbiamo fatto finta di non accorgercene? Adesso che i pezzi si tanno saldando e sono sempre meno “lontani” ce ne stiamo finalmente, ma forse tardivamente, accorgendo.

Dentro e sotto l’indecifrabile caos di Caoslandia (termine non nostro e inadeguato lo ripetiamo), che ormai abbraccia una superficie pari a metà delle terre emerse e la cui linea di tendenza è la progressiva espansione sull’altra metà -dove noi ci troviamo- almeno tre sono le costanti di cristallina chiarezza. Accomunate dalla quarta.

1. Accaparramento e successiva gestione di immense -ancora per un po’- preziose Risorse Naturali. Comunque non infinite ed in tendenza sempre più scarse.

2. Traffico Mondiale di Armi e di Armamenti di ogni tipo, forma e letalità. . Alimentato evidentemente dalla Gigantesca Produzione dei medesimi. Da segnalare che tra i non firmatari della convenzione di Ottawa, entrata i vigore nel 1999, per la messa al bando delle mine anti persona (produzione, stoccaggio e vendita) figurano Stati come la Cina, la Corea del Sud, L’India, il Pakistan, la Russia egli Stati Uniti. (Dati ONU).

3. Guerra, non importa da chi, contro chi e perché, uguale DISTRUZIONE. Materiale. Ponti, strade, ferrovie, case, città, ambiente, piantagioni, strumenti di lavoro, ospedali, scuole. E molto altro. Immateriale. Giustizia, verità, solidarietà, cooperazione, comprensione, amicizia, serenità, pace, rispetto, laboriosità, Politica con la P maiuscola o arte del possibile. E molto altro. Ed  infine Esseri Umani. In carne ed ossa. Fatta a pezzi.

DOPO bisogna  RI-COSTRUIRE. E qui si annida la perversità di un Sistema Storico Globale che deve continuamente CRESCERE. E che quando non può più crescere, crea condizioni tali per cui, in un modo o nell’altro si arriva, quando non bastano più le distruzioni "creatrici", alle DISTRUZIONI distruttive e basta . Per poi ricominciare daccapo. A CRESCERE..........fino alla.........prossima volta...........”  La cosa è storicamente dimostrata. Ma ci ritorneremo sopra quando cominceremo davvero ad allargare lo sguardo.

4. Immenso giro di Denaro che, evidentemente, non scarseggia.  Che si traduce in Potere & Dominio. Potere & Dominio che praticato, vuoi in forme “democratiche”, vuoi  “autocratiche”, vuoi in quelle scopertamente dittatoriali, si traduce in sempre maggiore Denaro. Il quale -a differenza delle Risorse Naturali- può moltiplicarsi all’infinito. Infinito.......?..........

Un perverso circolo vizioso e chiuso che produce, a ritmo impressionante, una serie di baratri concatenati rispetto ai quali la conflittualità armata e globale rappresenta “soltanto” la punta del classico  iceberg.


(continua)

 

Redazionale
I  post in evidenza all’apertura del blog sono soltanto gli ultimi cinque pubblicati.
Per trovare quelli più vecchi utilizzare la mappa tematica.





 





venerdì 6 maggio 2022

Sull'orlo del baratro 2

Seconda puntata


  “Sappiamo che dietro la nube opaca della nostra ignoranza e l’incertezza sugli esiti dettagliati degli eventi, le forze storiche che hanno plasmato il secolo continuano ad agire. Viviamo in un mondo catturato, sradicato e trasformato dal titanico processo tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. Sappiamo, o perlomeno è ragionevole supporre, che tale sviluppo non può proseguire all’infinito. Il futuro non può essere una continuazione del passato e vi sono segni, sia esterni sia, per così dire, interni che noi siamo giunti a un punto di crisi storica. Le forze generate dall’economia tecnico-scientifica sono ora abbastanza grandi da distruggere l’ambiente, cioè le basi materiali della vita umana. Le stesse strutture delle società umane, comprese alcune basi sociali dell’economia capitalista, sono sul punto di essere distrutte dall’erosione di ciò che abbiamo ereditato dal passato della storia umana. Il mondo rischia sia l’esplosione che l’implosione. Il mondo deve cambiare.

Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e -se i lettori condividono l'argomentazione di questo libro- sappiamo anche perché. Comunque, una cosa è chiara. Se l’umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio.”

(Eric J. Hobsbawum “Il secolo breve” 1914-1991 BUR 2019)


Anneghiamo nella cosiddetta “informazione”. Realtà -non dimentichiamolo- virtuale, nella quale spesso e volentieri è estremamente arduo capirci qualcosa, persino in quello che dovrebbe essere il suo campo specifico. Vale a dire il racconto -non dimentichiamolo- di che cosa succede. Per coloro i quali cercano, faticosamente, di informarsi. Figuriamoci per gli altri.

La citazione dell’insigne storico britannico ci permette di metterci in cammino su un’altra strada. Quella che noi cercheremo di battere. Quella della quale abbiamo -avremmo- un bisogno letteralmente vitale. Sempre. Ma più che mai oggi.  Allargare lo sguardo per cercare di capire perché quello che succede, succede.

E’ vero. A questioni di enorme complessità non ci sono spiegazioni semplici. Possiamo lasciar perdere. Troppo difficile ed impegnativo. Oppure incamminarci, con pazienza, sulla strada della ricerca. Dei perché.

Con pazienza.

Non è il momento.

E qui la prima, scontata, classica, ottusa obiezione. Non è il momento. Quando la casa brucia l’unica cosa da fare è agire per cercare di spegnere l’incendio. Non è il momento di mettersi a disquisire sul perché la casa ha preso fuoco. Naturalmente c’è un fondo di verità. Come sempre e qualsiasi cosa venga detta. Da chiunque. 

Certo. Sarebbe opportuno, per prima cosa, spegnere l’incendio. Ammesso che 1. la cosa sia possibile e 2. che ci si riesca. O perlomeno circoscriverlo. Evitando, magari, di soffiare sul fuoco nel patetico tentativo di spegnerlo. 

Non è il momento. E quando mai lo sarà? Il trucco ormai lo conosciamo abbastanza bene. Quando la casa non brucia non c’è problema. Non vedete? Tutto va per il meglio. Viviamo nel migliore dei mondi possibili. In particolare noi democratici. Perché mai dovremmo riflettere e porci delle domande? Non è il momento. E, quando la casa brucia, meno che mai. C’è da correre ai ripari.  Quindi non è mai il momento.

Un po’ come quando -prima- creiamo le condizioni perché le persone si ammalino e -poi- facciamo di tutto e di più, magari “eroicamente”, per curare malattie.

Ci sembra che con questo furbo "ineccepibile" giochetto del “non è il momento”, sarebbe opportuno finirla. Troppe volte si è ripetuto nella Storia. Messo sistematicamente in atto da coloro i quali dal porre e porsi domande hanno nulla da guadagnare. E molto da perdere. E’ “pericoloso”. Per gli “assetti” costituiti. Di qualsiasi genere essi siano. I risultati sono sempre stati -poi- disastrosi. Ed è dire poco. Non ci è bastato? Non ci basta?

Le parole dell'insigne storico britannico, scritte negli anni '90 dello scorso secolo, ed arrivate al pubblico italiano, chissà perché, una ventina d'anni dopo, sono attualissime. Oggi, domani ed anche dopodomani. E ci mettono sulla strada corretta. 

Se c’è un modo davvero realistico di circoscrivere l’incendio, per poi tentare di spegnarlo evitando la catastrofe  che ci attende se perseverassimo nel giochetto del “non è il momento”, è quello di chiederci perché e come mai la casa -tanto ospitale vivaddio!- ha preso fuoco. Se per caso l’abbiamo costruita con materiale altamente infiammabile. E se, non contenti, abbiamo lasciato che “pazzi”, da noi regolarmente designati con metodi rigorosamente democratici abbiano potuto, una volta insigniti del Potere, mettersi a giocare con i cerini accesi. Lasciandoci poi trascinare -noi- nei loro deliri di onnipotenza. Offensivi. Difensivi  Ed offensivi a scopo di difesa preventiva. 

Anche se, evidentemente, una differenza tra aggressori ed aggrediti indubbiamente c’è.

Professioni di fede

E qui veniamo ad una seconda questione.

Non so se avete notato che i cultori del “più chiaro di così non si può” si stracciano le vesti di fronte a qualsiasi accenno critico-problematico sulla situazione in atto, che non venga preliminarmente anticipato da una dichiarazione “di fede” intorno a chi è l’aggressore e chi l’aggredito. Come se l’evidenza dei fatti non bastasse. L’esagerata -immancabile- enfasi  posta regolarmente su questa faccenda è sospetta. Che i cultori del “più chiaro di così non si può” nutrano qualche segreto ed inconfessabile dubbio a questo proposito? Se così non fosse perché mai dovrebbero richiedere  la preventiva dichiarazione “di fede” intorno a fatti evidenti, inequivocabili, più che eloquenti e che quindi parlano da soli?

A scanso di spiacevoli equivoci sempre possibili, e forse probabili, dichiariamo qui, visto che ve ne è bisogno, che l’aggressore è il Sig. Putin. Che l’aggredito è il Sig. Zelenskyj con tutto il popolo ucraino. Che la cosa è di inammissibile gravità e che lede qualsiasi principio scritto, e non scritto, di rispetto reciproco tra le nazioni, nonché tra i popoli da esse rappresentati.

Dopo di che dichiariamo anche che il "ragionamento" non può finire qui. Su questa ovvietà. Pur gravissima, inammissibile, ed in alcun modo giustificabile. Ma che ovvietà resta. E quindi ci porta da nessuna parte.

Scenari 

A meno di pensare:

1. Che Putin voglia arrivare davvero fino a Lisbona. Assurdo.

2. Che la “soluzione” sia una sconfitta militare della Russia. Pressoché impossibile. Anche se fanno capolino, qua e là, malriposte speranze di Vittoria.

3. Che la “soluzione” sia un rovesciamento dello “Zar” dall’interno. Altamente improbabile.

In ogni caso, fermandoci alla constatazione dell’ovvietà e “semplicemente” armando l’aggredito noi soffiamo sul fuoco nella illusione di spegnerlo. 

Sembra proprio che la direzione di marcia, e da parte di tutti, aggressori, aggrediti e sostenitori degli aggrediti sia, per il momento, questa. Perseverando il baratro è pressoché assicurato.

In questa situazione l’unica “soluzione”, che tutto ci dice sarebbe peraltro e comunque provvisoria, non può che essere una, per quanto possibile, seria, onesta e soddisfacente trattativa tra le parti in causa. Che però, purtroppo e chissà perché, pare proprio che nessuna delle suddette voglia davvero.


(continua)