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lunedì 30 giugno 2014

La Storia.....può insegnarci qualcosa?


Serie a puntate in rapida successione

Prima puntata lunedi 30 giugno 2014


C’è qualcosa che non mi convince. Tanto per cambiare.
Continuo a sentir ripetere che c’è la crisi. E che se c’è la crisi manca lavoro. Quindi la gente ha pochi soldi da spendere. Quindi compera poco. Quindi si vende poco. Quindi l’economia ristagna. Quindi..... c’è la crisi. Un bel giro in tondo non c’è che dire! Rimedio: rilanciamo i consumi dando ottanta euro a dieci milioni di italiani che il lavoro non l’hanno ancora perso. Per ora. E l’economia ripartirà, vivaddio! Finalmente ricominceremo a spendere, quindi a lavorare, quindi a crescere. Crescere. Crescere perbacco! Controgirotondo logicissimo. Scusate i limiti intellettuali ma non ce la faccio ad essere pienamente convinto.
A parte il fatto, non trscurabile, che per rilanciare i consumi ottanta euro sono pochini - lasciamo perdere- è evidente che girotondo e controgirotondo fanno entrambi parte di un medesimo, poco chiaro, circolo vizioso. E come si sa i cerchi, viziosi o virtuosi che siano, girano all’infinito su se stessi senza andare, questo è il bello, da nessuna parte. Pur portandoci ad immani disastri specie se viziosi. E morire che ce ne sia uno, dico anche uno soltanto, che cerchi di indagare sulla vera ragione per la quale la crisi c’è eccome. E non da ora. Anche se a prima vista può sfuggire i circoli, viziosi o virtuosi che siano, un inizio che li rende possibili ce l’hanno. Semplice e, modestamente, geniale. Si tratta del centro. Un punto magico equidistante dalla circonferenza senza il quale nessun cerchio sarebbe circolare. Perbacco! Quindi non potrebbe esistere e tantomeno girare su sè stesso. Insomma da qualche parte qualcosa deve aver determinato l’esistenza del circolo. Scusate lo sconfinamento filosofico ma mi è venuto di getto. Volete sapere il vero motivo per il quale c’è la crisi? Quello che tutti, ma proprio tutti, evitano accuratamente di menzionare?
Ieri l’altro -quando si dice il caso- ho trovato spalancato sul tavolo della cucina il libro sul quale mia figlia sta preparando il sudatissimo esame di storia contemporanea. Stava al telefonino. Titolo del capitolo in bella evidenza: "La Grande Depressione di fine ottocento". Sul quaderno lì accanto un appunto della ragazza:

"Tutti hanno sentito parlare della famosa Grande Crisi scoppiata nel 1929 e manifestatasi inizialmente, guardacaso, negli Stati Uniti d’America e, guardacaso, con un inaudito crack finanziario della Borsa newyorkese. Ma si tratta solo della seconda crisi economica di portata epocale nella storia del Capitalismo. La prima, della quale non tutti hanno sentito parlare, è stata la "Grande Depressione" durata ben un ventennio alla fine dell’ottocento (1873-1895 circa). Manifestatasi inizialmente negli Stati Uniti d’America e con un apocalittico crack bancario. Guarda nuovamente il caso."

Ho letto. Prima incuriosito. Poi sempre più avidamente. Alla fine mi si è accesa, non una lampadina, ma un faro nel cervello! Buona lettura anche a voi ed a presto.


"Nel 1873 il fallimento della grande banca newyorkese di Jay Cooke (uno dei pilastri della finanza statunitense, che aveva avuto un peso decisivo nel sostenere la fase di ricostruzione industriale successiva alla guerra civile) diede il via ad un’ondata di panico che si diffuse nell’economia americana e poi in tutti gli altri paesi sviluppati. Nel giro di pochi mesi negli Stati Uniti la produzione di beni durevoli cadde di un terzo per mancanza di acquirenti, mentre la disoccupazione tra gli operai dell’industria e delle costruzioni ferroviarie raggiungeva livelli elevatissimi. Anche in Gran Bretagna, Francia e Germania si apriva una duratura fase di caduta della produzione industriale. Nella sola Germania la produzione di ferro diminuì del di oltre il 50 per cento nel giro di pochi anni; nei paesi industrializzati d’Europa la disoccupazione toccò livelli senza precedenti in tutto il secolo. Fu però la caduta dei prezzi l’indice più vistoso della crisi economica, che veniva a interrompere la fase di quasi continua crescita del venticinquennio precedente "
"Attorno al 1895 i prezzi risultavano del 40 per cento circa inferiori rispetto al livello del 1875. Tale continuità nella caduta dei prezzi fu uno dei principali fattori che indussero i contemporanei a vedere nel periodo che va dal 1873 al 1895 un’unica grande fase di crisi economica allora definita -e in seguito ancora ricordata- come la "Grande Depressione"

"La crisi apertasi negli anni settanta generò un disordine economico che sarebbe durato a lungo, per oltre vent’anni, fin quasi all’inizio del nuovo secolo; e neppure nei decenni successivi si potè affermare che le ragioni di quella crisi fossero state veramente superate. I contemporanei la chiamarono, appunto, la "Grande depressione". Noi oggi possiamo vedere in essa il punto di svolta che segnò l’inizio di un lungo periodo caratterizzato da profonde contraddizioni sociali all’interno di molti paesi e da acuti contrasti economici e militari negli equilibri internazionali. Possiamo inoltre sostenere che questo fenomeno divide la storia del capitalismo in due grandi tronconi.
Lo squilibrio economico infatti, era il sintomo più evidente del passaggio ad una fase qualitativamente nuova dello sviluppo capitalistico: la fase della produzione di massa e dell’industria pesante. Le perturbazioni che lo caratterizzavano, caduta dei prezzi, acuirsi della concorrenza, guerre doganali, erano il prodotto di un nuovo, mai prima conosciuto ritmo di crescita della produttività del lavoro, determinato da un’ondata massiccia di invenzioni tecniche e della sistematica applicazione della scienza alla produzione industriale; in sostanza da quella che, proprio per la sua intensità, è indicata come "seconda rivoluzione industriale". E questi fenomeni insieme costituivano il terreno di un’ulteriore accelerazione, di una più accentuata tendenza alla crescita della potenza industriale e degli apparati produttivi, in una corsa che a molti parve folle.
Dalle risposte che a quelle "perturbazioni" diedero imprese e stati, prese origine una serie di processi che mutarono il volto dell’economia, della società e della politica, giungendo a caratterizzare un lungo periodo storico: per lo meno fino alla prima guerra mondiale e alla travagliata fase che la seguì. E segnando in modo irreversibile i caratteridi fondo del nuovo secolo.
Questi processi si chiamano concentrazione industriale e finanziaria, razionalizzazione degli apparati produttivi e del mercato, ruolo crescente dello Stato nell’economia e burocratizzazione. Possiamo sintetizzarli in un termine: "capitalismo organizzato", cioè cosciente della necessità di superare il carattere "spontaneo" dei fenomeni sociali: di guidarli, dirigerli, organizzarli. Una necessità che contraddiceva esplicitamente il credo liberista in economia (e liberale in politica) che aveva dominato la fase precedente, fondato sulla fiducia nella capacitàdi autoregolzione del mercato."

La crisi si manifestava come una forte eccedenza dell’offerta sulla domanda, della disponibilità di merci rispetto alla richiesta. In un certo senso era la sovrabbondanza a provocare il susseguirsi di fallimenti e licenziamenti, e quindi a produrre la povertà. Sembra un paradosso: era invece la prima manifestazione del meccanismo caratteristico delle crisi economiche moderne. Mentre infatti le cosiddette crisi d’ancien regime (le crisi di società precapitalistiche e prevalentemente agrarie) erano in generale causate da carestie, spesso prodotte da eventi naturali come siccità, pestilenze ecc., e si manifestavano con fenomeni anche drammatici di carenza di beni (erano cioè "crisi di sottoproduzione"), il nuovo tipo di crisi che il mondo industrializzato andava sperimentando era prodotto da un eccesso di merci sul mercato. La crisi non derivava da una carenza ma da una disponibilità di beni sul mercato superiore alla quantità che questo era in grado di assorbire.Si trattava, cioè, di una crisi di sovrapproduzione o se si preferisce di "sottoconsumo."
 
(Peppino Ortoleva e Marco Revelli "La società contemporanea" Ed. scolastiche Bruno Mondadori 1983)
Sottolineature mie ad evidenziare alcuni passaggi che mi sembrano cruciali
 
(continua)


Seconda puntata sabato 5 luglio 2013

Lo ribadiamo. Se il nostro prezioso Zorro non esistesse bisognerebbe inventarlo. Ha aperto un impressionante squarcio di luce storica nel nostro oscuro presente. Grazie Zorro. A te ed alla tua diligente figliuola. E grazie soprattutto a Peppino Ortoleva e Marco Revelli.
Colti dal panico e convinti di aver perso in passato, per imperdonabile distrazione, un Evento Epocale di tal fatta ci siamo precipitati a consultare una serie di testi tra i quali alcuni decisamente dotti e ponderosi. Ebbene con nostra grande sorpesa abbiamo trovato niente del tutto o qualche larvato accenno -due righe "en passant"- quasi che la Grande Depressione di durata ventennale che ha segnato la fine dell’utopia liberista fosse questione di ordinaria amministrazione! Un evento tra mille altri. Ci sarebbe da chiedersi il perchè di simili "dimenticanze". E se per caso non ci sia una storia "altra" che noi non conosciamo. Quella vera. Ma lasciamo perdere, per ora, e torniamo a noi.
Veniamo a sapere una serie di sorprendenti cose decisamente interessanti per noi. Oggi e qui.
Vediamo di fare un piccolo elenco.
1.

Che ben prima -più di mezzo secolo- della più conosciuta crisi del 1929, ci fu una crisi epocale che segna addirittura una rottura storica tra la prima fase di crescita, basata sul libero scambio, e la seconda, caratterizzata fino ai giorni nostri, da un continuo, affannoso, sempre contradditorio, mai risolutivo, tentativo da parte dei "pubblici poteri" di regolamentare le dinamiche economico-sociali. Parallelamente ad un processo di costante "ristrutturazione" deii processi produttivi nella economia reale.
2.

Che la crisi vera e propria fu di lunghissima durata (oltre vent’anni) e che neppure nei decenni successivi si potè dire veramente superata. Complessivamente un arco temporale di circa mezzo secolo!
3.

Che la crisi si abbattè come un fulmine a ciel sereno dopo una lunga fase di crescita tumultuosa (oltre trent’anni).
4.

Che la crisi si manifestò inizialmente con il fallimento di una grande banca newyorkese (crack finanziario). Banca che aveva avuto un peso decisivo nel "sostenere" la fase di ricostruzione industriale successiva alla guerra civile americana (1861 - 1865).
5.

Che si determina un ben preciso rapporto di causa-effetto tra crescita eccessiva, tumultuosa, scriteriata, euforica, folle e conseguente successivo, inevitabile, arresto della medesima.
6.

Che la scriteriata crescita si trasforma in crisi per la ragione semplice e cruciale che il mercato non è più in grado di assorbire la crescita produttiva. Ovvero che l’apparato produttivo nel suo complesso è andato in sovrapproduzione massiccia rispetto alle possibilità di smercio della produzione.
7.

Che per la prima volta nella storia dell’umanità la sovrabbondanza, che potrebbe sembrare alle anime semplici una benedizione del cielo, si trasforma -malignamente e chissà perchè- in "lacrime e sangue". E particolarmente, come sempre, per i più deboli. Su questo dovremo fare un ragionamento a parte.


Bravissimi ragazzi! Avete fatto un riassuntino niente male. Ma la faccenda non finisce qui. Preso dall’illuminazione sono andato a vedermi i capitoli successivi sottraendo il libro ai sudatissimi doveri scolastici della figliuola che ha energicamente protestato. Le ho detto di darsi una calmata e di fare una pausa. Ha obbedito!! Ma torniamo a noi. Dopo un quarantennio circa di faticosissimi sovvertimenti sociali ed economici comprendenti nientedimeno che una prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra, alla fine degli anni venti del novecento eravamo punto e daccapo. Sentite qui. La citazione è un po’ lunghetta, in particolare sull’aspetto finanziario della crisi del 1929, ma vi assicuro che ne vale la pena.


"Tra il 1923 ed il 1929 gli Stati Uniti conobbero un tale boom economico che sembrava destinato a protrarsi indefinitamente: un elevato tasso di incremento del reddito nazionale (oltre il 4% annuo), un aumento continuo della produttività per operaio (salita -tra il 1919 ed il 1929- di circa il 70%): a salari sostanzialmente stabili, ciò si traduceva da un lato in aumento dei profitti, e quindi del denaro disponibile per investimenti, dall’altro nella stabilità dei prezzi. Fattore essenziale del boom era l’espansione dei consumi, in particolare l’accesso delle masse a nuovi consumi, servizi, "prodotti di consumo durevole" (automobili, elettrodomestici, apparecchi radio e grammofoni, ecc.): tra questi soprattutto lo sviluppo del settore automobilistico sostenne l’intera fase di sviluppo economico. Dalle 500.000 auto prodotte nel 1913 si era passati, nel 1919, a quasi due milioni, nel 1923 a 4.180.000 (un raddopio in soli quattro anni che dimostra come il boom dell’auto sia stato essenziale nel favorire la "riconversione" della produzione militare in produzione di pace), fino agli oltre 5.600.000 del 1929. Nel boom americano di quegli anni l’auto ebbe una duplice funzione: da un lato, l’industria automobilistica in espansione stimolava una serie di altri settori industriali (siderurgia, gomma, vetrerie, fabbriche di parti meccaniche); dall’altro, la massiccia penetrazione dell’automobile nella vita di milioni di americani cominciò subito ad influenzare lo stile di vita, ispirando nuove esigenze e nuovi consumi (la diffusione dell’automobile favoriva -ad esempio- il passaggio dalla spesa quotidiana all’abitudine di grandi spese settimanali, o addirittura mensili, che a loro volta richiedevano nuovi strumenti di conservazione dei cibi come il frigorifero). Tra un boom basato essenzialmente sull’espansione degli acquisti di beni di consumo e la stabilità dei salari vi era però una profonda contraddizione. Gli investimenti e l’aumento della produttività portavano ad un continuo incremento della produzione cui non corrispondeva un proporzionato incremento del potere d’acquisto dei lavoratori, cioè della massa dei possibili acquirenti."
 
"Un elemento essenziale del boom era stata la politica di bassi tassi di interesse che aveva permesso ad un gran numero di persone, anche con reddito basso, di acquistare case e beni di consumo durevoli con pagamenti rateali, mutui ed altre facilitazioni."
 
"Una seconda contraddizione era data dal sistema finanziario americano. Come la frammentazione e la mancanza di organi centrali di direzione erano fonti di squilibri nei rapporti tra l’America e il mondo, così lo erano anche per la situazione economica interna: gli Stati Uniti mancavano di autorità finanziarie in grado di correggere le distorsioni che si venivano man mano creando nell’economia. Tanto più che per tutti gli anni Venti essi furono dominati da amministrazioni repubblicane, convinte che la sola politica economica corretta praticabile dalle autorità federali fosse l’astensione da ogni intervento in economia, convinte cioè che le forze economiche lasciate a sè stesse possedessero capacità di autoregolazione sufficienti ad uno sviluppo ininterrotto."
 
 "Una terza contraddizione, più contingente ma di grande rilievo, era costituita dal gande boom speculativo che cominciò a manifestarsi attorno al 1926. La politica di "denaro facile" che consentiva anche ai privati di prendere a prestito denaro dalle banche a tassi di interesse quasi irrisori, e la crescita costante dei profitti delle aziende cominciarono a spingere -attorno alla metà degli anni venti- un consistente numero di risparmiatori verso l’acquisto di titoli, dapprima con i propri risparmi, poi sempre di più con denaro preso a prestito."
 
"L’acquisto di titoli, finalizzato dapprima all’investimento di denaro in un reddito quasi sicuro e crescente (in quanto con l’aumento dei profitti anche i dividendi distribuiti ai risparmiatori erano in aumento) , cambiò ben presto obiettivo: man mano che il mercato si allargava, e sempre nuovi clienti acquistavano titoli, il valore delle azioni cresceva, per cui chi aveva comperato in precedenza ad un prezzo più basso poteva ora rivendere ad un prezzo più alto, o addirittura moltiplicato. La differenza di prezzo tra il più alto valore successivo ed il più basso valore precedente costituiva in genere un profitto assai più elevato di quanto potesse essere fornito anche dal più sontuoso dei dividendi. A partire dal 1926-27 la maggior parte dei nuovi clienti che affluirono alla borsa erano interessati più a questo tipo di profitto che ai dividendi: i fenomeni speculativi furono moltiplicati, e aggravati, dal diffondersi di transazioni bancarie volte appunto a favorire la speculazione. A sua volta, la speranza di facili guadagni, aiutata dalla persistente disponibilità di denaro, favorì sia l’accesso di sempre nuovi clienti alla borsa sia l’aumento degli acquisti per cliente. Era un circolo vizioso che sembrava potesse non spezzarsi mai: l’allargarsi del mercato favoriva il rialzo dei prezzi, che permetteva ai detentori dei titoli di ottenere -rivendendoli- profitti elevatissimi; ciò incoraggiava nuovi acquirenti a comperare e i vecchi ad allargare le proprie operazioni......"
"Tra il 1924 e la fine del 1928 il valore medio dei titoli..........salì da 106 a 331. Negli stessi anni il volume delle cosiddette operazioni di prestito a margine (la forma più diffusa di finanziamento della speculazione) era cresciuta da circa due milioni di dollari ad oltre 5.700.000."
"Nel corso del 1929 si ebbe una ulteriore accelerazione. In agosto la media del valore delle azioni era salita a 449 (oltre quattro volte quella di cinque anni prima); i prestiti a margine erano saliti a 7 milioni di dollari"
"La prima netta caduta delvalore dei titoli si ebbe il 18 ottobre. Nei giorni successivi le vendite si moltiplicarono a valanga, ripetendo (ma in maniera molto accelerata) quello che era avvenuto in precedenza per gli acquisti. Avviato il declino dei valori, i detentori cercavano di disfarsi delle azioni al più presto, sperando di contenere il più possibile le perdite. Il crollo diventava così sempre più precipitoso, anche perchè le operazioni speculative, servite a tenere artificiosamente alti i valori negli anni precedenti, agivano in senso opposto: le banche chiedevano l’immediato rimborso dei prestiti speculativi, costringendo quindi i clienti a cercare di procurarsi liquidi al più presto, il che richiedeva la vendita dei titoli, il cui valore cadeva ulteriormente"
"A metà novembre l’indice del valore medio delle azioni era calato a 224, meno della metà dei valori raggiunti tre mesi prima. Era solo l’inizio: nei tre anni successivi l’indice sarebbe sceso ancora fino a 58; i valori delle azioni di molte aziende si sarebbero praticamente azzerati."
"Nei tre anni e mezzo successivi l’economia statunitense conobbe un costante aggravamento della recessione. La produzione industriale diminuì di circa la metà (-47%), con un declino di particolare gravità nelsettore dei beni destinati alla produzione; gli investimenti decaddero a tal punto che in molti settori non si procedette neppure al rinnovo dei macchinari ormai inutilizzabili; i prezzi agricoli caddero di oltre il 50%. Più di 5000 banche dovettero chiudere, trascinando con sè i risparmi di milioni di persone."
"Se è vero che il crollo in borsa fu solo una (e non la prima) delle manifestazioni della crisi incipiente, è vero anche che esso ebbe un peso decisivo. E’ a partire dalla fine dell’ottobre 1929 che tutti si resero conto della crisi in corso: il che a sua volta promosse, in tutto il corpo sociale, reazioni di difesa destinate ad allargare ulteriormante la recessione. Risultarono inefficaci sia i tentativi dei maggiori "banchieri d’affari" di sostenere artificiosamente la borsa, che quelli delle forze politiche dominanti di contenere il panico."
"La catastrofe abbattutasi sull’economia americana non poteva non far sentire i suoi effetti sul complesso dell’economia mondiale, profondamente condizionata dalla produzione e dagli scambi con gli Stati Uniti. Tra il 1929 ed il 1932 gli investimenti nel mondo segnarono una caduta complessiva del 55%; la produzione industriale del 37%; il volume degli scambi internazionali, del 25%."
"La crisi aveva alla propria origine contraddizioni assai simili a quelle che, alla metà degli anni settanta dell’Ottocento, avevano provocato la Grande depressione: prevalenza dell’offerta di beni sulla domanda; difficoltà da parte del mercato di assorbire l’accresciuta produzione; squilibri tra i differenti settori produttivi e insufficienza o totale assenza di strumenti di governo dell’economia. La tentazione immediata fu quella di utilizzare gli stessi rimedi di allora: protezionismo, lotta senza quartiere per la conquista dei mercati, irrigidimento delle politiche sociali."
"Negli ultimi decenni dell’Ottocento ci si era illusi di eliminare l’irrazionalità dello sviluppo industriale e la sua "tendenza alla crisi" attraverso la razionalizzazione della produzione ed il controllo del mercato mediante i monopoli. Questi rimedi avevano però accentuato drammaticamente la causa fondamentle delle crisi: lo squilibrio tra capacità produttiva (offerta) e capacità di consumo (domanda), tra produzione industriale e livelli salariali. La razionalizzazione produttiva aveva infatti aumentato il potenziale produttivo dell’industria, ma non la capacità di consumo di massa."
"La crisi del 1929 aveva permesso di constatare un altro fatto: il ciclo economico una volta entrato in fase di recessione, non era in grado di riequilibrarsi sulla base dei soli meccanismi automatici del mercato, anzi, finiva per avvolgersi in una spirale negativa, perchè tra le strategie dei singoli soggetti economici e le esigenze complessive delsistema esisteva una sfasatura inevitabile."
"L’incapacità della amministrazione Hoover di contrastare gli effetti della crisi economica apertasi nel 1929 favorì l’elezione del democratico Franklin D. Roosvelt nel novembre del 1932. Egli avviò una azione di governo caratterizzata da un forte intervento dello Stato in economia, da provvedimenti assistenziali ed imponenti opere pubbliche, al fine di allargare l’occupazione e di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori."
"Una vera e propria espansione si sarebbe manifestata solo a partire da 1939, quando con la guerra in Europa si sarebbe arrivati ad un effettivo e duraturo rilancio dell’economia
. Ma allora, per usare la frase dello stesso Roosvelt, il "dottor New Deal" aveva lasciato il posto al "dottor Vinciamo-la -guerra"

(PeppinoOrtoleva e Marco Revelli "Storia dell’età contemporanea" Ed. scolastiche Bruno Mondadori 1993)

Sottolineature mie ad evidenziare i nodi problematici(!) (Zorro)

(continua) 


Terza ed ultima puntata lunedi 7 luglio 2014

Decisamente impressionante. Non sappiamo voi, ma noi siamo letteralmente esterefatti.
Leggendo sulle righe e tra di esse possiamo farci una idea abbastanza attendibile e precisa riguardo a molte, importantissime, cruciali questioni che ci riguardano. Oggi.
La storia, evidentemente, si ripete. Le analogie sono sconcertanti. Così come è sconcertante la "incapacità" di trarre conclusioni pertinenti dalle vicende storiche. Conclusioni peraltro a portata di mano. Evidentemente, allora, non si tratta di incapacità. Ma di ben altro e ben più complesso. Oltre che di ben altra natura. Sarebbe interessante cercare di sviscerare in questa direzione. Magari lo faremo se l’incomparabile Zorro continuerà a darci una mano. Ma torniamo a noi.
Alla domanda iniziale ovvero se la Storia può insegnarci qualcosa, la nostra risposta è quindi totalmente ed assolutamente affermativa. Non solo può insegnarci qualcosa ma può spiegarci l’apparentemente inspiegabile sul perchè siamo messi malissimo oggi e qui. Ma attenzione. Si deve trattare di Storia con la esse maiuscola come quella di Ortoleva e Revelli. C’è modo e modo infatti, come abbiamo accennato, di raccontara la storia. E quindi di fare storia. Altro bel capitolo da sviscerare in futuro. Ma torniamo a noi e vediamo di fare, anche qui, un piccolo elenco di insegnamenti
 
1.
Quella nella quale ci stiamo addentrando, alle soglie del terzo millennio, non è nè la prima nè la seconda, ma la terza crisi storica di portata epocale del sistema socioeconomico nel quale viviamo. Leggendo i tempi sui quali si sono sviluppate le due precedenti possiamo ipotizzare che, con ogni probabilità, siamo solo agli inizi.
2.
Al di là dalle differenze, che pure esistono, le analogie -relativamente alle cause ed alle dinamiche- della prima crisi epocale, della seconda, e di quella attualmente in corso, sono veramente impressionanti. Al punto che potremmo persino tentare di estrarre dal ripetersi, quasi in fotocopia, di determinate costanti, una sorta di "legge delle crisi".
3.
La sovrapproduzione quale reale causa scatenante. Fattore chiave attinente alla economia reale. Sempre al termine di una fase di sviluppo "tumultuoso", - più pertinente potrebbe essere il termine "scriteriato"- che precede immancabilmente la Crisi. Al punto che potremmo individuare nella "Crescita" la retrocausa "occulta" delle crisi. Alla luce di questo dato il continuo richiamo alla necessità di far ripartire la crescita trdisce tutta la patetica impotenza dell’attuale sistema di "pensiero". Come pretendere di curare un ammalato con........la malattia.
4.
L’estrema difficoltà per non dire impossibilità del modello economico nel quale viviamo di autoregolarsi.
5.
L’estrema difficoltà di regolamentazione dall’"esterno" ( opposizione dei potentati economici, degli apparati burocratici, delle autorità varie, delle forze conservatrici, della impotenza di quella che dovrebbe essere la politica, ecc. ecc.)
6.
Il ruolo dei grandiosi sommovimenti finanziari che disvelano all’"improvviso" uno stato complessivo delle cose, economico e non, che affonda le proprie radici nella sovrapproduzione produttiva (economia reale). Sommovimenti finanziari scambiati spesso e volentieri, come oggi, per cause prime scatenanti mentre sono in realtà conseguenza dell’arresto della crescita.
7.
La potentissima retroazione dello scompiglio finanziario sulla situazione complessiva di tipo economico, e non, una volta instauratasi la spirale recessiva.
8.
L’indebitamento, privato o pubblico che sia, quale espediente principe per "drogare" il mercato. Vale a dire per far assorbire forzosamente al mercato quello che esso non riesce più ad assorbire.
9.
La pericolosità di tale espediente, vera e propria arma a doppio taglio, che se sul breve periodo ottiene gli effetti desiderati di espansione (o meglio di contenimento della contrazione) si trasforma, letteralmente dall’oggi al domani, in fattore di devastante destabilizzazione. Economica, finanziaria e sociale. Vedasi, per esempio e ai giorni nostri, la tragica vicenda dei primi fallimenti bancari del 2007 negli U.S.A. (mutui sub-prime).
10.
La guerra come elemento "risolutivo" delle Crisi Epocali del modello economico. A spaventosi costi umani, sociali e culturali. A questo proposito non sarebbe fuori luogo, ci pare, nutrire qualche preoccupazione oggi e qui. Il "pazzo" che butta il cerino è sempre disponibile sul "mercato" della Storia.. E quando intorno al "pazzo" c’è una polveriera il risultato è inevitabile. Radere al suolo tutto, quando le crisi non si risolvono in altro modo, é un "ottimo espediente" per rilanciare crescita e sviluppo. Vedasi il "glorioso" trentennio di ininterrotto sviluppo che ha fatto seguito alla seconda, ancor più catastrofica della prima, guerra mondiale.
 
Riguardo invece ai connotati della terza crisi epocale, quella attuale, iniziata circa sei anni fa ma preparata da almeno un ventennio di "rallentemento", ci sembra doveroso far notare che essa presenta, oltre a molte analogie con le due precedenti, caratteristiche peculiari. Caratteristiche che la rendono, se possibile, ancora più intricata. E precisamente:
a.
la vastità della crisi sia in senso spaziale (il globo terracqueo) sia in senso funzionale (nessun settore dell’umano esistere ed agire viene risparmiato);
b.
la profondità della crisi nel senso che essa non riguarda aspetti marginali o parziali;
c.
la qualità della crisi nel senso che essa si presenta quale intreccio organico di una miriade di "sottocrisi" che si rafforzano a vicenda tra loro;
c.
il fatto che i cosiddetti "margini" di "sviluppo" ovvero gli spazi liberi, fisici, economici, politici, culturali e sociali, che possano consentire uleriore crescita, sono in fase -alle soglie del terzo millennio- di definitivo esaurimento.
 
Teniamo infine presente che le tre sulle quali abbiamo focalizzato l’attenzione sono le crisi storiche di portata epocale del modello socioeconomico nel quale viviamo. Molte centinaia di altre, meno gravi, si sono succedute nell’arco di due secoli circa. Al punto che l’essere perennemente in crisi sembra proprio la caratteristica dominante di questo modello.
 
 
Ragazzi, ottima messa a punto estrapolativa(!!). Che collaborazione! Fantastico. Mi sto divertendo un sacco. Speriamo che così sia anche per i nostri sparuti lettori. Ma la sezione commenti resta, a parte qualche insigne eccezione, desolatamente vuota. Ma non disperiamo e torniamo a noi.
Finalmente ho capito che cosa non mi ha mai convinto, non mi convince e perchè.
Finchè stiamo sulla circonferenza di un cerchio, virtuoso o vizioso che sia, non potremo mai capire che cosa lo ha fatto nascere e che cosa lo fà girare pervicacemente in tondo non portandoci da nessuna parte. Eppur, se vizioso come nel nostro caso, seminando distruzione in ogni modo e per ogni dove. Ma io mi dico: vorremo prima o poi incominciare a parlarne seriamente di queste faccende? E se a proposito di queste cruciali e importantissime faccende c’è il silenzio più assoluto e generalizzato quale potrà mai essere il
vero motivo? Ma i famosi "tabù" non erano un fenomeno psicoculturale(!!) tipico delle ere primitive, premoderne, prescientifiche e pretecnologiche nelle quali gli umani erano poco più che timorosi scimmioni? E allora?? Come lo spieghiamo questo assordante silenzio? C’è qualcuno che può darci dei lumi? Se c’è lo ringraziamo anticipatamente. Anche se non scriverà un illuminante commento nella sezione commenti. Così, per il solo fatto che c’è e che potrebbe scriverlo. Grazie carissimi ed a presto. Dimenticavo: un sentitissimo grazie di cuore ai Professori Peppino Ortoleva e Marco Revelli.


Il vostro scapestrato collaboratore.
 
(fine) (provvisoria)
 

se vuoi comunicare con noi l'indirizzo è pensieridizorro@gmail.com 

mercoledì 18 giugno 2014

La fisica e il far soldi!





Caro GRUV,
Qualche giorno fa', rovistando tra vecchie cose e ricordi di scuola, mi sono ritrovato a sfogliare un libro di testo delle medie dal titolo interessante: "FISICA E NATURA".
Leggo che la fisica, appunto, studia la natura e cerca di carpirne i più intimi segreti: perchè l'acqua bolle, cosa succede quando accendo un fuoco, perchè le mele sono attratte dal suolo, quali forze entrano in gioco quando sposto un sasso di 50 kg per 100 metri......ecc.
Fantastico poi ritrovare le famose leggi della fisica, come quella della termodinamica: "Nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma....ed ogni trasformazione richiede una spesa di energia...."
Ecco! Umilmente la fisica ci ricorda che in natura non si può creare nulla, ma che ogni attività costa fatica, energia ed è sottoposta ad inevitabili perdite!
La nostra amata automobile (che, paradossalmente, significa "che si muove da sola") ne è la prova lampante: per spostare 70/80 kg (il passeggero) devo spostarne altri 1000 ( l' auto stessa) e dell'energia che ci metto (benzina) alla fine solo il 30/40% si trasformerà in lavoro utile (ruote che girano ecc.) il resto si perde trasformandosi in calore, (tanto che se non ci fosse il raffreddamento il motore letteralmente fonderebbe) e nocivi scarti di combustione!
Bene! Che centra la Fisica con il far soldi?
Non saprei ma, come al solito, qualcosa non mi convince: per la Fisica è "naturale"considerare che ogni interazione implica l'impossibilita' di guadagno illimitato, anzi bisogna sempre considerare le perdite! Per un'altra "scienza" invece, l'Economia (che con la natura pare abbia poco a che fare!) è "naturale" che se metto 100 di investimento mi devo aspettare 200-400-1000 di guadagno, un "miracolo" di moltiplicazione dei pani e dei pesci....!
E le perdite? Sembra non siano considerate, ma ci sono eccome: si chiamano risorse naturali saccheggiate, ambiente devastato, clima alterato, esseri umani ridotti in schiavitù, lavoro sprecato per produrre cose inutili, rifiuti che ricoprono il mondo.....e si potrebbe continuare!
Lo so,corro il rischio di sembrare il solito sognatore romantico, ma se ,qualche volta, gli economisti si ricordassero della Fisica.....   



                                                                                     Vostro affez.mo Zorro                                                                                                                                   

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