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martedì 27 dicembre 2016

Il Maggiore c'è..m..m!



Carissimi resistenti umani,

da mesi quando attraverso il S. Bernardino mi ritrovo con la mascella sempre più penzoloni. Vi giuro che non riesco a a capire se si tratta di meraviglia, stupore, ammirazione, repulsione o.....altro. A ben pensarci forse si tratta di un “tarlo”. Si perchè dopo aver letto attentamente le vostre considerazioni sul fatto che alle mirabolanti forme esterne non corrisponde neppur minimamente uno spazio interno, un vero e proprio tormentone mi divora il cervello. Ogni volta che passo sul ponte e l’occhio viene immancabilmente catturato dagli enormi “sassi” non riesco a farlo tacere: “Ma allora come diavolo sarà DENTRO?” .Dopo lunga meditazione ho concluso che l’unica era andare a vedere di persona. Ho ghermito al volo l’ultimo biglietto di un “evento” teatrale in cartellone e, in strettissimo incognito naturalmente, mi sono confuso con la folla di spettatori. Mi sono chiesto se le sensazioni  che ho vissuto standoci DENTRO per qualche ora, non fossero per caso fortemente influenzate dai vostri pareri critici. Perplesso sono tornato a casa e ci ho dormito sopra per una settimana. Non di fila, per tutti i diavoli! Cosa avete capito?! Per sette notti, si intende! Al mattino dell’ottava notte mi sono sentito dentro con chiarezza il responso assolutamente spassionato. Alle mirabolanti forme esterne (non) corrisponde che un deludente, brutto spazio interno. Poco accogliente per non dire decisamente scomodo e -colmo dei colmi- inadatto a rappresentazioni teatrali. A mio modestissimo parere di incompetente. Non riesco a tradurre in ragionamenti elaborati, come fate voi professorini, le pure sensazioni viscerali. Sono uomo d’azione si sà. Quindi vi invito a seguire il mio esempio per verificare a vostra volta e di persona. Fatemi sapere. Nel frattempo e sempre a disposizione per collaborazioni varie, vi saluto cordialissimamente.
Sempre vostro
Zorro.


Il post al quale fa riferimento il nostro impagabile eroe è stato pubblicato in data 12/12/2014.con il titolo “CEM Arroyo 2” sottotitolo “ l’insostenibile pesantezza dell’apparire”.

Lo diciamo per mettere in condizioni i nostri affezionati lettori di ripescarlo e -magari-  rileggerselo. Non sarebbe male al fine di considerare la questione nella sua completezza. Peraltro limitata all’aspetto “architettonico”.

Ancora una volta sollecitati dalla preziosa segnalazione del nostro insostituibile uomo d’azione ci siamo precipitati al botteghino riuscendo a ghermire al volo gli ultimi due biglietti dello spettacolo successivo.

Carissimo Zorro,

noi ci abbiamo dormito sopra non una ma due settimane. Per un totale di quattordici notti. Temevamo di essere prevenuti -di nostro- e influenzati dal tuo giudizio decisamente non positivo. Insomma parziali. Non obiettivi. Abbiamo sentito alcuni pareri di amici, parenti e conoscenti che ci confermerebbero nelle sensazioni che abbiamo provato come “fruitori” degli spazi interni dell’opera “architettonica”. Molto simili, per non dire identiche, alle tue. Come c’era da aspettarsi. Ma andiamo con ordine e cominciamo dall’ingresso. L’impressione che ci ha comunicato questo importante “momento” nel quale il “fruitore” accede al complesso “architettonico”  è stata quella di un ambientino piccino piccino, disadorno, arredato in fretta e furia e in modo raccogliticcio.  Sembra di entrare in un ufficietto comunale. senza pretese. Ma lasciamo perdere. Si tratta di dettaglio minore tutto sommato. Forse si tratta di soluzione provvisoria dettata dall’urgenza. Chissà. Una banalissima scala di tipo condominiale ti porta al primo piano dove accedi ad un immenso spazio “cubico” totalmente vuoto. In un cantuccio di questo spazio metafisico, dentro ad una “cosa” di plastica trasparente alcuni tubi fluorescenti dai crudissimi colori verde e rosso -se non ricordiamo male- si contorcono a mo’ di serpenti luminosi di tipo natalizio. Un amico ci ha poi detto, lasciandoci interdetti, che di opera d’arte trattasi. Gravissimo perdinci! Non ci siamo arrivati! E tu? In ogni caso abbiamo trovato la “cosa”, arte o non arte che sia, decisamente fuori luogo nella misura in cui viene annichilita dalla vastità del vuoto che la circonda. Lungi dal costituire arredo ravvivante, accentua la vuotezza dello spazio nello stesso momento in cui disturba grandemente quella che avrebbe potuto essere pura, intonsa, intoccata ed intoccabile metafisicità spaziale. Il pavimento. Sembrerebbe di listelli di legno incollati al sottofondo. Ma potrebbe benissimo trattarsi di plastica simil-legno dato il colore chiarissimo, quasi bianco. Non abbiamo capito. In ogni caso freddo. Insomma, in totale e  per farla breve uno spazio da brivido ghiacciato. Da questo spazio cubico, pensato forse per eventi particolari di tipo non teatrale  si accede alla sala teatrale vera e propria. Abbiamo assistito ad uno spettacolo interessante con una nutrita compagnia di bravi attori, ottime scenografie, rapidi ed efficaci cambiamenti di scenario, buona musica di accompagnamento. Insomma tutto benissimo ed interessante dal punto di vista di ciò che sul palcoscenico avviene. Ma, ci sembra, teatro è -o dovrebbe essere- qualcosa di più. Vale a dire l’intreccio, spaziale ed emotivo ad un tempo, che si crea -o si dovrebbe creare- tra ciò che sul palcoscenico avviene e la platea degli spettatori. Basta dare una occhiata all’impianto semicircolare dei veri teatri realizzati nell’antichità, per capire che cosa intendiamo dire. Confermiamo le tue sensazioni puramente viscerali che comunque sei riuscito a tradurre nel cruciale concetto di “spazio inadatto a rappresentazioni teatrali”. Il che, per un teatro, è un “difettuccio” non da poco.
Cerchiamo ora di vedere il perchè della “lacuna” esaminando alcuni indiscutibili dati di fatto oggettivi di tipo “metrico-spaziale”. Sala in marcata pendenza con file di posti articolate su gradoni. Fin qui tutto bene. Niente da dire. Favorisce la visibilità. Sala RETTANGOLARE. Ammirando i “sassi” dall’esterno ci si poteva aspettare qualcosa di completamente diverso. Invece no. Sala banalmente, squallidamente rettangolare! Ma non basta. Sala rettangolare LUNGA e STRETTA! Con il palcoscenico ad occupare quale dei due lati? Ma quello corto evidentemente! Non abbiamo potuto prendere le misure, ma ci sentiamo di sostenere che il lato lungo della sala è almeno il doppio di quello corto. Forse di più. Questo puro e semplice dato dimensionale comporta il fatto che il palcoscenico è terribilmente LONTANO. Perlomeno per gli spettatori che non stanno nelle prime tre file. Ovvero la stragrande maggioranza. Il marcato effetto LONTANANZA  rende decisamente difficile l’instaurarsi di quella fusione spaziale ed emotiva tra palcoscenico e platea  che costituisce, come si diceva,  uno degli elementi chiave del buon teatro. Per fare un confronto illuminante pensiamo al ben più adatto spazio della sana e modesta saletta del Centro di Incontro S:Anna orientata all’incontrario, con il palcoscenico disposto sul lato lungo e le due ali della platea leggermente convergenti. Insomma sosteniamo in totale accordo con te che c’è un  “disguido” di base. Poteva andar bene -forse- per un cinema con megaschermo e impianto dolby stereo.
Di tutto ci saremmo aspettati dal grande e fantasmagorico Arroyo tranne che un errore di tal -letteralmente- plateale portata. Viene quasi il dubbio, naturalmente infondato, che al famoso architetto siano stati commissionati soltanto le forme esterne dei “sassi” o che, a corto di denaro, l’Amministrazione Comunale abbia incaricato qualche geometra dell’ Ufficio Tecnico di  realizzare l’”interno”. In ogni caso il “budello” del Vip avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Invece niente.  Ma non finisce qui carissimo Zorro. Forse anche tu hai notato il risicatissimo spazio tra le file di economiche poltroncine. Infatti dici, giustamente, “scomodo”. I nostri due posti si trovavano esattamente al centro della fila nella parte alta della platea. Siamo arrivati alle 20.40 ma purtroppo la fila era già al completo. Non ti diciamo i contorcimenti che abbiamo dovuto compiere, e far compiere, per guadagnare i due suddetti, sudatissimi posti.  Per fartela breve mezza fila ha dovuto spostarsi nel corridoio per lasciarci passare. Finalmente “installati” scopriamo che per un paio d’orette dovremo stare rannicchiati praticamente con le ginocchia bloccate e -quasi- in bocca! Logica ed elementare conseguenza della insufficiente distanza tra le file di economiche poltroncine. Come se non bastasse una spondina “di sicurezza” alta venti centimetri chiude il già insufficiente spazio a valle. Morale: forti crampi alle ginocchia da impossibilità assoluta di movimento. L’esigua “pedata” (la misura del piano orizzontale di una struttura a gradoni o gradini) in platea viene riconfermata in corrispondenza delle scalinate di accesso alle file  rendendole pericolose soprattutto in fase di discesa. Nell’intervallo, fortemente pressati da un “bisognino”, tra infinite scuse reciproche siamo stati costretti a far spostare per due volte nel corridoio la mezza fila di sinistra.  Sulla estetica della sala non c’è molto da dire. Dato l’errore di impianto spaziale iniziale niente sarebbe valso a renderla meno anonima, banale, fredda, sbagliata.. Più che a teatro sembra di trovarsi in un capannoncino. Acustica. Abbiamo capito i due terzi scarsi delle parole pronunciate dagli attori. Per quanto ragazzi resistenti umani possiamo tranquillamente annoverarci tra gli anziani. Abbiamo deciso che al prossimo invito di controllo gratuito dell’udito da parte di Maico che vince la sordità ci affideremo agli specialisti del ramo. Solo allora potremo fare valutazioni attendibili sulla acustica della sala.

Tutto qui carissimo, impagabile eroe.
Come al solito confermiamo puntualmente le tue sensazioni di tipo squisitamente viscerale. Speriamo di aver contribuito un poco a chiarirne le motivazioni e la dinamica interna.

Ma vorremmo concludere dicendo che molte sono le morali che potrebbero essere tratte da questa intricata vicenda. Ci limiteremo a due. Naturalmente da incompetenti.

La prima, di ordine “architettonico”. Tra virgolette.
Quando si riveste un banale manufatto di cemento armato con una struttura lignea esterna al solo scopo di farla sembrare un  fantasmagorico volume in forma di “sasso” facciamo della pseudoscultura “architettonica”. Insomma una ibridazione costosissima e priva di senso compiuto. Immaginiamoci che il grande Arroyo avesse operato in tutt’altro senso facendo della vera architettura. Vale a dire facendo corrispondere pienamente alla forma esterna del “sasso” un congruente -e da essa derivante- spazio interno. E/o viceversa. Ben altra sala, veramente teatrale, ne sarebbe potuta scaturire!

La seconda di ordine metodologico-procedurale-estetico-formale.
Quando un  processo che prende le mosse da una idea di partenza completamente sbagliata (Amministrazione Zanotti) viene successivamente rimaneggiato inserendovi ulteriori fantasiose valenze dettate da ingenua megalomania (Amministrazione Zacchera) e poi il tutto si trasforma in un  materiale manufatto”architettonico”, esso non può che rispecchiare fedelmente il pasticciaccio ripasticciato dal quale è nato.

Sempre a tua disposizione ed a quella degli affezionati lettori per un serrato contradditorio ti -e vi- salutiamo cordialissimamente augurandoti -vi- uno splendido, gioioso, costruttivo -per quanto possibile di questi tempi - 2017.

Gruppo di Resistenza Umana Verbania