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sabato 25 ottobre 2014

Un dischetto di metallo: fantasie spinte dell’uomo qualunque in un qualunque "Libero Supermercato!"


Entro al supermercato per fare la spesa. Cinquecento vecchie lire o un euro, fa lo stesso. Per il carrello. E’ uno dei pochi momenti in cui una moneta è semplicemente quello che è: un dischetto di metallo e niente di più. Alla fine lo recupererò tale e quale. Una volta c’era il carrello libero. Ma erano altri tempi.
E via, di scaffale in scaffale. A metà della spesa mi rendo conto che da qualche giorno non controllo quanti soldi ci sono nel borsellino. Mi fermo immediatamente in preda ad un dubbio atroce. Avrò denaro abbastanza? Tiro fuori dal borsello il borsellino, lo apro, do un’occhiata dentro e tiro un sospiro di sollievo: ce ne sono. E più che a sufficienza per la spesa che ho in mente di fare. Chissà perchè la chiamiamo spesa. Forse perchè bisogna spendere soldi per avere delle cose che ci servono. Appunto. Ma non divaghiamo. Ho finito. Di fare la spesa. Nel carrello tristemente vuoto giacciono sul fondo cinque cose. Mi sono lasciato prendere la mano. Dal carrello intendo. C’è un vantaggio: cassa veloce. Le casse sono allineate in una batteria dalla impressionante lunghezza e ripetitività. Una  si distingue: quella veloce. La guadagno rapidamente e, dopo una veloce coda, mi viene fatto il conto velocemente. bip.....bip......bip.........fatto! Per quanto veloce la coda non mi ha impedito di guardarmi in giro per un attimo. Il super- mercato è bello perchè ci sono tante belle cose da comperare. Per il nostro piacere oro-gastro-intestinale e non solo. E poi è bello perchè ci sono tante belle signore da ammirare.
Mi è venuta improvvisamente una fantasia spinta.
Pensa che bello se invece della cassiera alla cassa che ti fa il conto, non ci fosse nessuno e tu potessi uscire così, senza colpo ferire. Per modo di dire. Sarebbe una pacchia. Oppure una/un sorridente ragazza/o che ti aiuta a stivare il tutto nel borsone e ti dice “a presto!”.
Ritorno in me. Pago nel senso che consegno alla cassiera alcuni tagliandi di carta con disegni colorati che è indispensabile avere e consegnare per potersene uscire. Lei in cambio mi consegna una strisciolina di carta non colarata piena di numerini neri. Stivo da solo e mi avvio verso gli scorrevoli sensibili dell’ uscita. Ma la fantasia perversa non mi molla.  Meno male che ho controllato il borsellino. Pensa che figura se al momento di pagare ti accorgi che i soldi non bastano e hai dimenticato pure la carta di credito. Costretto a farfugliare delle scuse, a lasciare li il sacchetto già bel pieno con tutti gli occhi dei compagni di coda puntati addosso. Dalla riprovazione ai sorrisini di commiserazione agli sbuffi di impazienza. Oppure ancora uno scenario decisamente più spinto.Troppa fantasia. Lo diceva sempre la mia povera mamma. Mi faccio fare il conto, e poi con la massima tranquillità me ne vado verso gli scorrevoli sensibili senza pagare.

La cassiera che prima mi intima l’altolà, poi mi corre dietro trafelata chiamando a gran voce il Capo Negozio  nonchè il Vigilante con tanto di pistola, che a loro volta mi rincorrono tra lo sbigottimento delle file, a questo punto totalmente paralizzate. Clienti e cassiere che con la bocche aperte aspettano ansiosi di vedere come andrà a finire...........
Ritorno definitivamente in me. Meglio non indulgere in fantasie morbose. Gli scorrevoli sensibili si aprono e poi si richiudono. Sono fuori. Metto la borsa della spesa nei borsoni della bici e faccio per andare a riporre il carrellone. Il dischetto di metallo è li che aspetta. Buono buono. Per ora niente di più e niente di meno che un simpatico dischetto di metallo lavorato a bassorilievo. Si avvicina un marocchino che cerca di convincermi a comperare almeno due paia di calze. Deve andare a fare la spesa, dice, per la sua famiglia. Gli dico che non ne ho bisogno. Di calze. Allora si offre di andare a riporre il carrello al mio posto evitandomi così il fastidio. Vinto dall’insistenza acconsento. Un euro con un secco tlac fuoriuscirà dalla fessura. Verrà delicatamente recuperato con due dita e rientrerà nel borsellino. Non importa se nel mio o nel suo. In fondo si tratta solo di un euro. Ben di più e di diverso, comunque, di un semplice e simpatico dischetto di metallo.







domenica 12 ottobre 2014

La tecnologia migliora e semplifica la vita dell'uomo?


di N.S.
settembre 2014





Un lettore che si firma "Navigatore Solitario" ci ha inviato una e-mail che molto volentieri pubblichiamo dietro sua esplicita autorizzazione.

 
Carissimo Zorro ed amici Resistenti,
sono un vostro affezionato lettore. Da quando avete iniziato, circa un anno fa, non mi sono perso una riga, dicesi una, dei vostri interessantissimi post.
Ve la devo assolutamente raccontare.
 
 
Prima del fatto: antefatto.
Sto partendo dalla spiaggia con il microscopico Mariposa (barchino di plastica pieghevole) che ha sostituito quello più lungo e pesante perso lo scorso anno durante una burrasca di bora nei pressi dell’Istria. Il mio piccolo veliero è lì che mi aspetta quieto alla fonda. Va a sapere. Una ondina anomala più un mio marcato sbilanciamento proprio nell’attimo in cui sto montando a bordo con un piede mentre con l’altro mi spingo in fuori, più chissà cosa diavolo altro, sta di fatto che il barchino si rovescia ed io con lui. In un attimo si riempie....e va a fondo in pochi decimetri di acqua. Recupero i remi che galleggiano, cercando di guadagnare il largo, e li butto sull’arenile di finissima sabbia ocra. Per le ciabattine infradito blu, marca "figo" è un po’ più complicato Sono piccole ed hanno la fastidiosa tendenza ad inabissarsi. Comunque ce la faccio e butto anche quelle all’asciutto. Svuotare il barchino che non galleggia più con dentro una tonnellata di acqua è impresa titanica. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, complice un’altra ondina anomala riesco in qualche modo a trascinarlo con il naso fuori dall’acqua. Cerco di sollevare il naso per svuotarlo da dietro. Niente da fare. Pesantissimo. Un’altra ondina mi aiuta a guadagnare qualche centimetro di arenile. Adesso è un po’ meno pesante. Riesco a sollevare il naso. L’acqua comincia a defluire dal contronaso. Sarebbe la poppa, o forse la prua, dato che il piccolo scafo è assolutamente simmetrico e non si capisce assolutamente di quale delle due estremità si tratti. Sta di fatto che man mano che l’acqua defluisce diventa vieppiù leggero e poi leggerissimo. Vuotato! Sento un marcato ronzio vibratorio alla coscia sinistra. Che sarà mai? Il titanico sforzo? O cosa diavolo altro? Accidenti! Contrariamente alle mie abituduni ho il telefonino Samsug nero in tasca! Ha fatto il bagno nella salatissima acqua di mare insieme a me! Da giorni attendevo un segno di vita dalla fidanzata della quale sono innamoratissimo. Si può comprendere che me lo sia portato appresso quando sono sceso a terra per una bella passeggiata tra le colline ricoperte di cipressi e di ulivi della incantevole, micorscopica, semidisabitata isola greca di Erikoussa (Ionio). La prima che si incontra, insieme alla più grandicella Othoni, venendo da Nord. Lo stramaledetto aggeggio! Ma lui non c’entra per nulla. Tanto per cambiare si tratta di stupido errore umano. Sta di fatto che dopo due o tre incongrui squilli e un bel pò di convulsi ronzii non da più alcun segno di vita. Totalmente e definitivamente morto. "Ma perchè non l’hai chiamata tu" mi direte voi. La fidanzata. Come se non ci avessi provato! Per qualche misteriosa ragione tecnologica mi risponde da giorni la segreteria telefonica. Mentre i messaggini partono regolarmente. Saprò poi che nulla di nulla giungeva all’amata. Tecnologia!


Dopo l’antefatto: il fatto.
Ebbene lo ammetto. Mi sono talmente abituato al telefono senza fili, anche semplice semplice come il mio -non fa fotocopie- che il fatto di esserne privo mi destabilizza alquanto. E poi c’è la questione della fidanzata che non si fa viva. L’ansia aumenta di giorno in giorno. Quindi salpo l’ancora e via. Rotta Corfù. Bella cittadina (la parte storica) situata al centro dell’omonima isola sulla costa orientale rivolta verso l’Epiro. Un tantino turistica per i miei gusti. Con un centro storico veramente notevole, che in qualche angolo cade a pezzi, mentre il contemporaneo orribile urbanesimo dilaga tutt’intorno. Dovunque la solita brutta storia. Forse lì è possibile comperare un nuovo telefonino. Quindi via. Poche miglia che si possono coprire in giornata. Do fondo (termine marinaresco che sta per l’esecrabile, terraiolo "gettare l’ancora") nella baia a Sud della fortezza e con il diabolico barchino vado immediatamente a terra. Il centro Vodafone lo trovo subito. L’attrezzo c’è. Praticamente identico al mio ma siamo spiacenti disponiamo solo del colore bianco con tastiera d’argento. Solo due anni fa mi sarei rifiutato categoricamente. La vecchiaia forse fa bene. E poi la fidanzata.......Lo compro. Possiamo, per fortuna adoperare la SIM del vecchio anche se un pò umida. Sto per fare la sospirata telefonata quando mi accorgo che in rubrica mi sono rimasti, a dir tanto, una decina di numeri dei cinquecento e passa che avevo. Prima sorpresa. Saranno finiti in mare? E poi, seconda amara sorpresa, che il telefonino mi parla in greco moderno. Lingua assolutamente incomprensibile per me, sia nelle versione orale che -e ancor più se possibile- in quella scritta. Basti pensare che "buongiorno" si dice "kalimera" che "pane" si dice "psomì" e che "grazie" si dice "evkaristò". "Prego" è nientemeno che "parakalò". Il gentilissimo commesso dardeggia sui tasti e mi fa capire che italiano "no possible". O greco o inglese. L’italiano non è previsto. Mi ha sempre fortemente colpito l’irriducibile dispotismo del mercato. Di fronte al quale, per quanto non ti vada, non puoi fare altro che abbozzare. Inglese quindi. Lingua nella quale non ci capisco un accidenti perchè, accidenti a me, ai miei tempi nelle scuole medie si insegnava il francese. Chissà perchè. In ogni caso compongo il numero della fidanzata che ovviamente ricordo a memoria. Mi risponde cascando dalle nuvole. Dice che non le sembrava fosse passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti. Benedetta! Non sa che per il navigatore solitario i secondi sono ore. E le ore giornate. E le giornate mesi ed anni. Ma come potrebbe saperlo? Voi mi direte: "e allora? Tutto qui?" No cari amici. Il bello deve ancora incominciare. Ma la fidanzata non c’entra.
Tutto benissimo per qualche giorno. Sto perfino imparando qualche vocabolo di inglese come "sending", "inviare". Devo fare una importantissima telefonata tecnica a proposito del pilota elettrico, che è morto anche lui, pur non avendo fatto il bagno nel mare. Tecnologia! Compongo il numero. Schiaccio l’apposito tasto e.....meraviglia! In italiano perfetto mi si informa che non posso telefonare in quanto il mio credito è esaurito. Esaurito! Ti avessero dato un minimo di preavviso! Niente di niente! Esaurito punto. Non puoi più telefonare. Punto. Provo con un messaggino. Non "sending". E ora che faccio? Semplice. Ricarico. Mi reco immediatamente al centro Vodafone di cui sopra con una bella banconota da cinquanta in mano. L’ingenuo. E qui comincia l’odissea. Mi perdoni Ulisse.
Teniamo ben presente che tutta la sequenza si svolge tra persone di nazionalità e lingua greca che si rivolgono in inglese ad un italiano che di inglese non ci capisce un accidenti.
Prima graziosissima commessa. Bruna, occhi nerissimi, perfetto incarnato olivastro. Con una serie di elementari vocaboli inglesi, più gesti vari, più significativi silenzi riesce a farmi capire l’essenziale. Dalla Grecia non è possibile ricaricare un telefonino italiano.
Tu pensa l’arretratezza tecnologica della tecnologia moderna! Sempre a gesti e con esemplificazioni pratiche riesce a farmi capire che si si potrebbe, ma devo comperare una SIM greca e prendere un numero greco. Cambiare numero? Imposibile! A posteriori mi sono chiesto se avrei potuto tenere le due SIM. Quella italiana con numero italiano e quella graca con numero greco, caricando in greco e utilizzando in italiano. Ma la carica in greco vale per un utilizzo italiano del telefono con SIM italiana? Sempre a posteriori mi dico che non avrei mai potuto comunicare un simile concetto alla gentile ragazza bruna. Faccio quattro passi meditativi avanti e indietro nel negozio come un leone in gabbia. Con il telefonino bianco cerco di contattare il Servizio Clienti Vodafone in Italia. Sorprendente! Ci riesco al primo tentativo. Mi risponde una risponditrice automatica con la solita trafila di digitazioni da compiere. Insomma bisogna o no risparmiare sulla costosissima mano d’opera umana vivaddio! Direbbe l’impagabile Zorro. Comunque la gentile, impersonale, poco costosa e sottomessa risponditrice mi informa che per saperne di più posso consultare il sito Vodafone alle sezione "estero". Sollevato torno alla carica. Mi metto di nuovo in coda. Ci sono tre file lunghe alcune decine di metri. Seconda graziosissima commessa. Biondissima occhi azzurrissimi, perfetto incarnato bianchissimo. Sorpresa! Mi dice che capisce un poco di italiano. Mi viene una gran voglia di apostrofare da lontano la commessa bruna chiedendole come diavolo non le è venuto in mente di indirizzarmi fin dall’inizio dalla collega bionda. Susciterei un putiferio quindi lascio perdere. Ogni commessa lavora con l’immancabile schermo computeristico davanti. Dico: "potremmo per cortesia fare una visitina al sito di Vodafone?" Siamo o non siamo in un centro Vodafone? Risposta: "mi dispiace tantissimo ma non abbiamo la connessione Internet" Cosa? Trasecolo. Sento che stò impallidendo. Faccio capire che non è possibile ma lei sorridente me lo riconferma. Tu pensa. Questa non è grossa! E’ enorme! Nell’era del computer in un centro di telefonia fissa e mobile Vodafone che dispone di una efficentissima rete globale che copre il globo terracqueo le gentilissime e gaziosissime commesse che lavorano con decine di computer davanti NON DISPONGONO della connessione Internet. Incredulo e definitivamente abbattuto mi allontano dal bancone. E adesso? Sto per rinunciare quando la commessa bionda mi chiama. Mi si avvicina sulla porta del negozio e mi dice in italiano: "è semplice, chiami Italia da cabina telefonica e si faccia ricaricare da Italia". Accidenti! Trasecolo un’altra volta. Sento che il sangue rifluisce. Non ci avevo pensato!!! La ragione cè. Da noi le cabine telefoniche non esistono più da un pezzo. Forse per dare lavoro ai demolitori di cabine nonchè a quelli della telefonia mobile. E mi indica un punto imprecisato dall’altra parte della strada concludendo con un sibillino "tabaccaio!". Incomincia la ricerca della cabina telefonica. Che in Grecia esistono ancora eccome!. E poi non mi si venga a dire che è un paese arretrato. Per favore. Percorro almeno una quindicina di volte avanti e indietro duecento metri circa, a valle ed a monte del punto indicatomi. Non trovo nè il tabaccaio nè la cabina telefonica. E qui bisogna aprire una brevissima parentesi tecnica sulle ex cabine telefoniche italiane e su quelle attuali in Grecia. Vi ricordate quei vistosi cubicoli rossi con tanto di enorme disco sul tettuccio con il bel disegno della cornetta rossa su campo grigio? Per me, italiano, è quella la cabina telefonica. Per forza che non la trovo! Qui sono dei miniloculi con paraorecchie, aperti, di colore grigino-azzurrino, imbullonati ai muri o su un paletto. Il mio è imbullonato ad un muro dove il porticato, molto buio, fa un angolo retto. Praticamente invisibile. Comunque al sedicesimo passaggio lo trovo. Ci vuole la tessere telefonica. Qui nessun problema. Vicinissimo una edicola (forse il "tabaccaio"?) con una vecchietta che parla benissimo l’italiano. E’ molto comune trovare, ma solo tra le persone anziane, qualcuno che comprenda e parli la nostra lingua. Dispongo di due numeri da chiamare. Un fisso ed un cellulare. Provo prima con uno poi con l’altro. Niente. Una risponditrice automatica mi sciorina un discorsetto prima in greco e poi in inglese . Ho sbagliato qualcosa ma non so che cosa. Scoprirò poi che il +39 stà per doppio zero 39. Beata ignoranza! Ma non è questo il problema. Entro nel primo negozio che trovo. Forse abbigliamento. Un piccolo gruppo di avvenenti signore in amabile conversazione. Spicca un abbronzatissimo e distinto signore. L’unico maschio della compagnia. Dico: "c’è qualcuno qui che capisce italiano?" L’abbronzatissimo signore mi risponde immmediatamente. "Un poco". Sospiro di sollievo. Gli spiego in breve il problema. Lui mi ascolta paziente e conclude con un perentorio "No cabina; Office!!!". E mi fa segno con il braccio di prendere la prima traversa a sinistra. Ringrazio ed esco. Prendo la prima traversa a sinistra. Cerco il famigerato "Office!!" senza naturalmente trovarlo. Avanti ed indietro per la traversa almeno sei volte. Niente "Office". Sull’orlo della disperazione entro nel primo negozio che mi capita a tiro. Qui non capisco esattamente l’articolo in vendita. Sembra un....office ma non lo è. Sta di fatto che incontro una bella ragazza bionda grano maturo. Capelli lunghi raccolti in un elegante chignon. Lo chignon mi ha sempre fatto impazzire dalla più tenera età. Occhi nerissimi. abbronzatissima. Un tatuaggio di un certo gusto estetico le avvolge l’avanbraccio sinistro. Mi dice che capisce bene italiano ma non lo parla. Le spiego. Effettivamente capisce. Gentilissima si offre di accompagnarmi personalmente alla "cabina" distante un centinaio di metri. Molla il negozio e ci rechiamo insieme sul luogo. Compone il numero fisso. Niente. Risponditrice. Compone il numero di cellulare. Niente. Risponditrice. Mi fa capire a gesti che c’è qualche problema ma che non capisce nemmeno lei quale è. Mi fa segno di seguirla. La seguo. Ritorniamo nel suo negozio. Afferra il proprio cellulare e fa una telefonata facendomi segno di aspettare. Parla in greco, a lungo, con qualcuno. Me lo passa. Si tratta di un amico che parla perfettamente italiano. Mi dice che devo fare il prefisso internazionale poi quello della località comprensivo dello zero iniziale e quindi il numero di telefono. Gli dico che abbiamo fatto così e che non è successo niente. Dice: "strano". L’amica conferma. "Provi facendo il numero di cellulare ma premettendo il prefisso internazionale per l’Italia". Ringraziamenti a non finire. Mi reco sul posto. Con mano malferma compongo la sequenza dei numeri relativi alla fidanzata debitamente preceduta da prefìisso internazionale. Doppio zero al posto del più poi trentanove. Poi il numerodi cellulare. Miracolo! Da’ il segnale. Miralcolo doppio! L’amata risponde! Le dico con tono un poco alterato di farmi immediatamente una ricarica da 50 euro grazie. "Poi ti spiegherò". E riattacco. Sono talmente incavolato con me stesso che mi dimentico perfino di tornare a ringraziare la bella ragazza biondo grano maturo dallo chignon. Imperdonabile.
Ci credete se vi dico che in certi momenti mi sembrava di stare dentro ad un incubo di quelli che devi assolutamente gridare e non ti viene la voce?

La mattina se ne è andata. Sono le dodici e trenta. Ora italiana. Sfigurato dalla stanchezza e con un cerchio di ferro che mi attanaglia il capo ritorno a bordo del mio piccolo veliero ormeggiato nel vecchio porto della città vecchia. Ormeggio totalmente libero e gratuito. E poi non si dica che la Grecia è un paese arretrato. Per favore. Al confronto della odissea linguistico-tecnologica che mi ha rubato una intera mattinata della mia vita, 6 giorni e 6 notti di fila in navigazione d’altura per arrivare sin qui da Venezia sono stati piacevolmente rilassanti. Di tutto riposo. Ma forse il problema è un altro: la mia congenita emotività accompagnata da una marcata debolezza di nervi. Perlomeno nelle tecnologiche cose di terra. Più un rapporto decisamente ambivalente nei confronti della tecnologia. In specie quella dell’ultima ora. Mi faccio un bel piattone di spaghetti alla mediterranea, ingollo due aspirine e mi sdraio in cuccetta. Prima di addormentarmi, penso per un attimo ai bei tempi andati e pretecnologiaspinta. Quando i navigatori, solitari o meno che fossero, avevano la solare, matematica, granitica, consolante certezza che, una volta mollati gli ormeggi e dovunque fossero diretti, non avrebbero potuto in alcun modo, magari per anni, comunicare con la lontana, amata madrepatria. Provo, per un attimo, una gran nostalgia. E mi addormento di botto.
 


Appendice tecnico-tecnologica
 
 
0.
A rigore "tecnologia " dovrebbe essere una scienza. Mentre "tecnica" si riferirebbe ad applicazioni pratiche. Dovremo in futuro approfondire la questione.
1.
Se mai vi capitasse di portarvi il cellulare su un instabile e leggerissimo barchino premunitevi infilandolo in un sacchetto di plastica con chiusura ermetica all’acqua.
2.
Quando mettete un contatto in rubrica salvate il tutto non su "telefono" ma su "SIM". In questo modo i contatti saranno recuperabili anche a telefonino distrutto. Sempre che insieme al telefonino non si sia distrutta anche la SIM.
3.
Se per disgrazia vi dovesse finire in mare il telefonino procedete come segue:
-aprire il telefono togliere Sim e batteria e immergere il tutto in acqua dolce per almeno 3/4 ore;
-togliere dall’acqua dolce;
-asciugare delicatamente con scottex casa;
-immergere il tutto in una scodella piena di riso e lasciare che passino almeno tre quattro giorni.
-non è escluso che riprenda a funzionare;
-se non riprende a funzionare portatelo nel più vicino centro di assistenza facendo finta di niente. Può essere che ve lo riparino, o se in garanzia, ve lo sostituiscano.
4.
Se non masticate un poco di inglese, imparate al più presto a masticarlo.
 
 
Cordialissimi saluti da
Navigatore Solitario



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