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lunedì 10 marzo 2014

Il Novello Primo Ministro tirerà l’Italia fuori dalla palude o.....si impaluderà pure lui?


Prima puntata 10 marzo 2014




C’è qualcosa che non mi convince. Matteo Renzi, il Novello Primo Ministro ci assicura che in quattro e quattrotto tirerà l’Italia impaludata fuori dalla palude. Dice che taglierà spese, tasse, costi dell’energia per le imprese, "cuneo" fiscale, e altro. Poi sanerà i debiti secolari della Pubblica Amministrazione nei confronti dei fornitori. Poi darà sussidi di Disoccupazione Universale. Poi ancora interverrà sull’edilizia scolastica. Poi sfoltirà la giungla dei contratti dove ognuno fà quello che gli pare. E, come se non bastasse, abbatterà la burocrazia soffocante che ci soffoca da....sempre.
Lo ripeto. C’è qualcosa che mi convince poco. A parte lo sterminato elenco di cose che improvvisamente si possono fare, le domande che mi sorgono spontanee sono almeno due:

1.
Tagliare spese? Ottima cosa che non solo non costa niente ma fa risparmiare un sacco di soldi. Ma allora è (ed era) solo una questione di Grinta? Di averci gli "attributi"? Che il neo premier evidentemente ha. Oppure è una questione leggermente più intricata? Come la mettiamo con i carrozzoni strapieni di passeggeri, il clientelismo atavico, la pletora di legittimi interessi piccoli e meno piccoli che intorno alla Spesa Pubblica ruotano da tempi immemorabili? E con i lavoratori del Pubblico Impiego onesti e coscienziosi che si troverebbero a spasso? E in un frangente terribile come questo con il consumismo che già precipita e precipiterebbe ancora di più?

2.
Tutti gli altri tagli (tasse, costi energia, "cuneo") nonchè le "provvidenze"(pagamenti, sussidi, assegno universale, scuole nuove e più belle, tutele per i giovani a spasso e altro) costano un pacco di soldi! E dove diavolo li va a prendere? Ma non ci hanno detto e ripetuto che non solo non ce ne sono, di soldi, ma che siamo
sotto mica da ridere? E che i governanti ci dovevano, purtroppo, salassare con sacrifici e tutto per far tornare i conti che non tornavano? Ma allora sti soldi ci sono o non ci sono? Chi racconta balle? E a chi? Qualcuno le racconta. Di qui non si scappa. Ma non sappiamo chi. Per ora. L’unica cosa chiara è a chi. Le racconta. A noi. Come sempre.

No cioè si, c’è qualcosa che non mi convince per niente. Vivaddio!
 
 
Carissimo e impagabile Zorro,
lo ripetiamo, se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti! Non possiamo che confermare le tue sensazioni puramente intuitive di intrepido uomo votato all’azione. Noi da poveri intellettualoidi acciaccati possiamo soltanto corroborare con qualche dato molto, molto eloquente sul disastro che incombe nella inoppugnabile realtà reale della economia reale e con qualche considerazione di contorno sul metodo del nostro intrepido Novello Premier. Ma una terribile e non dilazionabile urgenza ci costringe a rinviarti alla prossima puntata che, te lo promettiamo, sarà pubblicata nel giro di pochissimi giorni.

A prestissimo quindi
tuo aff.mo GRUV




Seconda puntata giovedi 13 marzo (il giorno dopo la rutilante conferenza stampa del Primo Ministro)



Molto bene. La terribile, indilazionabile urgenza, è stata soddisfatta. Quindi possiamo, in tutta serenità, riprendere a ragionare. Abbiamo deciso di suddividere in paragrafi la complessa materia. Usciranno in distinte puntate ma in rapidissima successione. Le aggiungeremo, man mano, in calce alle precedenti. Quindi, carissimo Zorro, tieni sotto costante controllo il "post" del "blog" e.... occhio al cappello!

1.
La insostenibile durezza della realtà reale.


Nel coacervo di problematiche delle quali è impastata quotidianamente la nostra esistenza ci limitiamo, per ora, solo ed esclusivamente all’aspetto economico. Qualsiasi ragionamento che non partisse da qui sarebbe fuori luogo.

Alcuni dati di chiarezza solare.

Dal 2000 al 2014 perdita di 10 (dieci) punti di PIL in valore assoluto.

Tra il 2008 e il 2014

-PIL per abitante diminuito di 12 (dodici) punti.
-Consumi delle famiglie meno 8 (otto) per cento.
-Investimenti meno 28 (ventotto) per cento.
-Occupazione meno 7 (sette) per cento.
-Produzione industriale meno 25 (venticinque) per cento
-Occupazione più 3.500.000 (tremilioniecinquecentomila) senza lavoro.
-Persone alla soglia della povertà più 130 (centotrenta) per cento.
(fonte: Aurelio Regina Vicepresidente di Confindustria per lo sviluppo economico e l’energia, intervistato da Giorgio Zanchini nella trasmissione radiofonica di Radio 3 "Tutta la città ne parla" di mercoledi 5 febbraio 2014)

Fallimenti e chiusure di Imprese italiane nell’anno 2013.

110.000 (centodiecimila hai capito bene) Imprese italiane tra fallite e chiuse nel corso del solo 2013. Per la precisione 15.000 (quindicimila) fallimenti più 95.000 (novantacinquemila) liquidazioni volontarie con un aumento del 7,3% rispetto al 2012. Il che significa, facendo due conti che nel 2012 sono state "solo" poco più di 100.000 (centomila). Centomila nel 2012 più centodiecimila nel 2013 fa la bellezza di 210.000 (duecentodiecimila) nell’arco dei due anni. Nessun settore risparmiato. Taglia delle imprese: piccola e media.
(fonte Cerved Group)

Fallimenti nel produttivissimo Nord Est nel corso del 2013

più 19 (diciannove) per cento rispetto al 2012.
(Fonte Cerved Group)

Settore commercio e turismo anno 2013

Saldo tra attività aperte e attività chiuse meno 16.251 (sedicimiladuecentocinquantuno)

Anno 2014

Nel primo bimestre dell’anno in corso hanno chiuso 20.163 (ventimilacentossesssantatre) Imprese per un saldo tra aperte e chiuse pari a meno 15.000 (quindicimila)
(fonte Osservatorio Confesercenti)

A questo ritmo, alla fine dell’anno in corso il saldo tra attività aperte e chiuse potrebbe arrivare a meno 15.000 moltiplicato sei bimestri uguale a meno 90.000 (novantamila).
 
Questa, a quanto ci dicono, la durissima realtà della economia reale. La cosa corrisponde perfettamente e conferma la sensazione diffusa, puramente intuitiva, di sfacelo incombente. Anzi, già abbondantemente in atto. Da far tremare i polsi. Anche per un uomo votato all’azione come te, carissimo Zorro, c’è di che restare basiti. Figurati noi. Non sembra invece porre particolari problemi di nervi al neo Presidente del Consiglio. Basteranno la saldezza emotiva, i notevoli attributi cinetici, la determinazione, l’intrepido piglio, ad affrontare e soprattutto risolvere una spaventosa situazione del genere? Questa la domanda che ci assilla. E, per di più senza minimamente chiedersi in che tipo di situazione ci troviamo e quali sono le cause che l’hanno determinata? Sembra quasi che la questione sia priva di interesse ed importanza. Siamo in crisi. E tanto basta. Il fatto che si tratti di una ovvia constatazione che ci dice tutto e un bel niente non sembra turbare più di tanto gli animi. E non solo dei politici.

Ci permettiamo di proporre quindi una ipotesi di traccia di analisi, senza la quale possiamo sbatterci, o anche abbatterci, fin che vogliamo, ma senza la quale non potremo avere una idea sufficientemente precisa di dove siamo, cosa stiamo facendo e perchè. E di dove stiamo andando a parare.
Una situazione spaventosa come quella descritta dai dati succitati possiede alcune caratteristiche di rilievo. A nostro modesto avviso dovremmo parlarne.

a.

La spaventosa situazione economica è spaventosamente grave.
Nel senso che è in atto una vera e propria catastrofe imprenditoriale di portata storica. Nel sistema socio-economico in cui viviamo catastrofe imprenditoriale vuol dire catastrofe lavorativa quindi catastrofe occupazionale. Con tutte le catastrofiche conseguenze che ne derivano.

b.

La spaventosa situazione economica è spaventosamente intricata.
Nel senso che su di essa influiscono uno sterminato coacervo di variabili economiche, sociali, politiche, culturali, psicologiche, comportamentali, di geoeconomia politica continentale e planetaria, tenacissimamente intrecciate tra loro in un rapporto di maligna interazione reciproca.

c.

La spaventosa situazione economica è strutturale.
Nel senso che non è dovuta a questo, o a quel, o a quell’altro malfunzionamento, ma all’esaurirsi di un modello sviluppista basato su un certo tipo di crescita.

d.

La spaventosa situazione economica viene da lontano.
Nel senso che le radici del nostro essere oggi in piena catastrofe imprenditoriale, quindi economica, quindi occupazionale, è il risultato, per quanto paradossale la cosa possa sembrare a prima vista, di un modello sviluppista che se ha funzionato per circa un trentennio dopo l’immane catastrofe della seconda guerra mondiale -e su questo dovremmo riflettere- oggi, con ogni evidenza, non funziona più. In altre parole azzardiamo l’ipotesi che in quel tipo di crescita vadano ricercate le cause profonde del nostro essere in profondissima crisi oggi.
 
Già ti sentiamo inveire: "Hei professorini cosa diavolo vuol dire un certo tipo di crescita, vivaddio?"

A parte il fatto che nemmeno tu sei un ragazzino e dovresti aver vissuto di persona che cosa è capitato nei ruggenti anni del "miracolo" economico italiano, ti faremo lo stesso qualche esempio concreto. Così vediamo se riusciamo a capirci. E qui bisogna necessariamente aprire una breve parentesi.
Tra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni ottanta ti ricordi quali sono stati i grandi motori dell’economia?

1.

Produzione a tappeto e vendita a tappeto di automobili. Da una situazione nella quale i più benestanti possedevano la bicicletta siamo passati nel giro di trenta anni al primato mondiale di automobili per abitante. Oggi quasi ogni abitante, in media, possiede una automobile. Una crescita pazzesca. Mai vista prima. Fonte di posti lavoro e prosperità. Con qualche inconveniente ai polmoni, al sistema nervoso e al sovrappeso, ma lasciamo perdere. Automobile induce una quantità enorme di altre attività lavorative e non lavorative annesse e connesse. In fase di costruzione prima e in fase di utilizzo poi. Dai pneumatici ai gommisti. Dai meccanici agli elettrauto. Dalla assicurazione sulla responsabilità civile alle accise sul carburante. Dalle vacanze in Sicilia partendo da Torino in auto alle gite escursionistiche settimanali in montagna. Ecc. ecc. ecc. L’andirivieni continuo è diventato sempre più massiccio frenetico incessante. Con automobili di cilindrata e potenza sempre maggiori. ecc ecc. ecc. ecc. Insomma una immensa crescita economica e non solo.
Ancora automobili??? Ancor di più automobili????? Ma dove diavolo le mettiamo???
Ti sembra che non ne abbiamo abbastanza? Di automobili. E di questo tipo di crescita? Ti sembra che si possa far crescere ancora questo settore? Possiamo meravigliarci del fatto che in questo tipo di crescita non possiamo letteralmente più crescere? Nemmeno se lo volessimo. O non ti pare?

2.

Per far scorazzare milioni e milioni di automobili dal peso di mille Kg. per trasportare un passeggero di 75 Kg., e di immensi e velocissimi TIR per il trasporto di tutte le merci da trasportare, avanti e indietro in continuazione, l’Italia dalle Alpi al Mediterraneo, isole comprese è stata letteralmente tappezzata di autostrade. Prima a due poi a tre poi a quattro e infine -non proprio tutte è vero- a sei corsie per senso di marcia. Scegliendo tracciati spettacolari con grande impiego di arditissimi ponti e lunghissime gallerie. Tutte le strade statali sono state allargate e trasformate in quasi autostrade. Tutte le strade provinciali e comunali sono state rese più scorrevoli allargandole e modificandone i tracciati. Una immensità di lavoro, di posti di lavoro di cemento, asfalto, di montagne spostate e bucate, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. e quindi di crescita benessere e prosperità. Con qualche inconveniente per il territorio e per le modificazioni climatiche ma lasciamo perdere. Ancora strade e autostrade??? E di più????
Ti sembra che non ne abbiamo abbastanza? Ti sembra che ci sia bisogno di costruirne ancora e ancora di più?  Possiamo meravigliarci del fatto che la crescita non cresce più? Che questo tipo di crescita si è bloccato?

3.

Costruzione di case. Settore edilizio. Non c’e bel posto in Italia dai litorali marini, isole comprese, alle località montane o lacustri, per non parlare delle periferie metropolitane che, durante il "miracolo" e anche dopo, non sia stato letteralmente tappezzato di prime, seconde, terze, quarte e in qualche caso quinte e perfino seste case. Legali ed abusive. Di solito orribili. Abbiamo investito nel "mattone". Mentre i centri storici andavano e vanno in malora. Vai a farti una bella circumnavigazione della Sardegna,per esempio, in senso orario o antiorario come preferisci, e vedrai cosa significa devastazione ambientale in concreto.Una quantità di lavoro e posti di lavoro immane. Come ben sai la costruzione di case si tira dietro una infinità di altro lavoro. Dai falegnami ai fabbri agli elettricisti ai piastrellisti agli imbianchini, agli idraulici, e dio sa cosa. Qualche piccolo inconveniente per il territorio vuoi dal punto di vista idrogeologico vuoi da quello paesaggistico, ma lasciamo perdere. Lavoro, soldi, benessere e prosperità per tutti o quasi tutti. Per alcuni più che per altri ma lasciamo perdere.
Ti pare che manchinio case? Ti pare che potremmo costruirne ancora e poi ancora? Idea: forse se radessimo al suolo quelle sin qui costruite........ma lasciamo perdere le battute. Ti pare che questo tipo di crescita possa continuare? Possiamo meravigliarci del fatto che il settore edilizio sia in crisi?
E con lui una infinità di atri settori?

Ti abbiamo fatto solo tre esempi. Si potrebbe continuare . Ma fermiamoci qui se no la parentesi diventerebbe non breve.
 
A conclusione e tornando a bomba, la prima domanda allora è:
Il fatto che non cresciamo più non è, per caso, dovuto al fatto che siamo cresciuti

1.
TROPPO

e sopprattutto
2.
MALISSIMO per almeno mezzo secolo?

Subito dopo viene la seconda domanda:
Come mai di tutto questo non se ne parla quasi fosse un problema che non esiste e non la causa prima e remota del fatto che non cresciamo più?

E poi viene la terza domanda:
Possiamo pensare seriamente di far ripartire la "crescita" senza raccontarci che cosa è la crescita, da cosa dipende e non dipende e soprattutto per quale motivo la crescita ha smesso di crescere?


E infine la quarta e, forse, ultima domanda:
Rispetto a tutto questo ben di dio problematico quale senso può assumere un insieme di "misure", per quanto in pacchetto ben confezionato, se non quello di affannarsi con pannicelli caldi al cappezzale di un moribondo?



Terza puntata venerdi 21 marzo 2014 primo giorno di primavera


Ragazzzi, secondo me avete sosatanzialmente, perfettamente ragione.Tra le tante cose che mi convincono poco di questo ingarbugliato mondo ce ne sono alcune che mi convincono moltissimo. Una è la rivoluzionaria tesi che se si vende poco è perchè........c’è troppa roba da vendere! Geniale! Altro che diminuzione dei consumi! Basta vedere lo spaventoso traffico automobilistico e motociclistico alla domenica pomeriggio di questi splendidi fine settimana di estate anticipata. Certo un po’ anche quello, il calo dei consumi. Ma non di auto e di traffico. Per ora. Ma più automobili di così è un po’ difficile da immaginare....a meno che rottamarle appena escono dalla fabbrica per farne scatolette per la conserva... magari con incentivi statali per mantenere alta l’occupazione..... però...e le bretelle di collegamento incrociato che mancano tra le strade, le superstrade e le autostrade? Per non parlare del potenziamento delle circonvallazioni e tangenziali urbane e metroplitane superintasate che non ricevono! NON RICEVONO. Capito? Se ce n’è ancora di bisogno! E di spazio libero per costruirle!! Voi l’avete detta come battuta ma radere al suolo case e palazzi sfitti invenduti e inutilizzati sarebbe un ottimo e intelligente modo di rilanciare il settore edilizio... potremmo persino avere qualche praticello in più. Di quelli che una volta c’erano e che se li sono mangiati lo sviluppo e l’enorme bisogno di casa. Oltre a creare spazio libero per il potenziamento della rete stradale vivaddio! L’idea è tutt’alto che scema. Mica un caso che il "miracolo economico" è venuto dopo la catastrofe materiale della seconda guerra con distruzione di case, strade, ponti, ferrovie e... persone. Che è venuta dopo la catastrofe economica degli anni pre seconda guerra che è venuta dopo la ipercrescita USA che ha fatto seguito alla prima...................però cavoli, possibile che non vi vada mai bene niente!? Arriva finalmente un giovane pieno di energie che vuole spenderle per fare qualcosa e tutti giù a criticare prima ancora che incominci! Certo, forse non si rende del tutto conto (è tanto giovane!) del fatto che si è cacciato in un ingarbugliatissimo garbuglio. Difficile da risolvere con ottanta euro in più a quelli che il posto ce l’hanno ancora. Ma diamogli un minimo di credito e di sostegno vivaddio! E aspettiamo almeno un paio di mesetti per vedere quello che succede. Vi pare?


Vivaddio, siamo perfettamente d’accordo! Che sia ben chiaro: il fatto che dopo molti, troppi decenni di sostanziale immobilismo, arrivi qualcuno che dice di voler fare qualcosa per mettere a posto l’Italia è, di per sè ed in quanto tale, una cosa ottima! Per il momento la ventata di energetica, giovanile freschezza, sembra aver spazzato via il plumbeo, opaco, depresso panorama creato degli insigni, ossequienti, un poco grigi, o inconcludenti predecessori. Su questo non ci piove e non possiamo che rallegrarcene. Ma attenzione carissimo Zorro. Non facciamo gli ingenui. Ne abbiamo già viste di cotte e di crude. Troppe. Provare un minimo di diffidenza, in una situazione del genere, è normale. Logico. Conseguente. Salutare. Non dimenticarti che c’è stato qualcun’altro che, non moltissimo tempo fa, ha lanciato proclami rivoluzionari per sistemare l’Italia e "ghe pensi mi" a ripetizione, per poi doversi rimangiare tutto. Perfino i titoli. Quindi sana diffidenza carissimo! E non per partito preso, sia ben chiaro, ma perchè, nel recentissimo novello caso di proclami salvifici, gli elementi per nutrire più di un dubbio ci sono tutti e sono oggettivi.
Quindi veniamo al punto 2. Ti facciamo di seguito un piccolo elenco di quelli che potrebbero essere definiti:

2. Motivati elementi di sana perplessità

Non ci addentreremo nel labirinto minato dei dettagli tecnico-numerici relativi ai provvedimenti, per ora soltanto annunciati. Basta ed avanza l’ immane valanga di notizie, a volte contradditorie, riportate dai media. Ci limitiamo a far notare la propensione del Novello Premier alla matematica binaria basata sui numeri uno e zero. Meno 10% IRAP. Meno 10% costi energia. Taglio IRPEF per 10 miliardi di euro a vantaggio di 10 milioni di italiani occupati. Che fanno 1000 euro cadauno. 10 miliardi per rimettere a posto la scuola, nel senso di edifici scolastici. 100 giorni di lotta per cambiare la Pubbblica Amministrazione, il Fisco e la Giustizia. Può essere che la cosa abbia un qualche significato recondito?
In ogni caso cercheremo di concentrarci sull’essenziale evitando, se possibile, di perderci in dettagli minori.

a. Annunci verbali
Non ogni parola vale allo stesso modo, verissimo, cionondimeno siamo ancora, per ora, nella realtà virtuale, estremamente volatile, del linguaggio verbale. Che il neo Primo Ministro padroneggia con estrema, determinata disinvoltura. Tra il dire ed il fare c’è però di mezzo, di questi tempi, il Grande Mare Oceano. Colpisce l’altisonante azzardo degli annunci. Può essere un sintomo di forza ma anche di debolezza. L’eccessiva sicurezza verbale, qualsiasi impresa ci si accinga a compiere, non è mai stato un buon segnale ai fini del risultato fattuale da conseguire. In particolare di fronte ad una navigazione difficile e pericolosa. Meglio sarebbe prudente cautela verbale e maggiore profondità di analisi dei problemi.

b. Personalismo
Possiamo davvero pensare che la questione inerisca semplicemente alla determinazione di una singola persona nel voler affrontare e risolvere una enorme serie di intricati problemi, oppure l’intricatissimo garbuglio nel quale ci troviamo è oggettivamente di difficilissima soluzione? E, se del caso, quanto può, in circostanze del genere, l’elemento puramente soggettivo della grintosa determinazione di un singolo, per quanto Premier e per quanto determinato? L’ingloriosa fine della rivoluzione liberale annunciataci dal predellino non dovrebbe insegnarci qualcosa? Per restare a tempi recenti.

c. Avevamo capito male?
Ci sembrava di aver capito che a partire dagli anni ottanta - novanta del secolo scorso l’economia occidentale e particolarmente quella dei paesi "deboli", come il nostro, andasse progressivamente avviluppandosi in una perniciosa crisi di (non)crescita. Nella quale l’imprescindibile esigenza di ridurre l’astronomico debito pubblico, caricando di tasse imprese, lavoratori e cittadini pensionati e non, faceva, e fa, letteralmente a pugni con l’altra imprescindibile esigenza: quella di rilanciare i consumi per far ripartire la crescita. Ci sembrava di aver capito che questa fosse la maligna contraddizione di fondo sistemica, tuttora irrisolta, che ha inchiodato più di un governante sulle politiche di austerità mentre ci sarebbe stato e ci sarebbe bisogno, al contrario, di cittadini con tanti soldi da spendere per consumare! Ma evidentemente abbiamo capito male. Possiamo diminuire le tasse. Aumentare gli stipendi. E, si badi bene senza assolutamente aumentare il debito pubblico. I soldi ci sono. Vivaddio diresti tu, carissimo Zorro, ma dove diavolo sono? Dove diavolo erano? Ma allora D’Alema, Prodi, il Cavaliere ed il suo Ministro Tremonti, per non parlare di Monti e di Letta semplicemente non li hanno visti? I soldi che c’erano? La possibilità di far quadrare facilmente il cerchio maligno? Possiamo prenderla per buona? Come dici giustamente tu, delle due l’una: o qualcuno ce l’ha raccontata prima o qualcun’altro ce la sta raccontando adesso. Nell’un caso, come nell’altro, siamo messi decisamente non bene.

d. Sottovalutazione
Una sintesi ragionata dei concetti contenuti nei tre precedenti paragrafi potrebbe innescare la seguente domanda-ipotesi: non è che, per caso, Renzi stia gravemente sottovalutando la natura e la portata dell’ingarbugliatissimo garbuglio nel quale si è coraggiosamente ficcato?

e. Auto-sopravvalutazione
Definizioni quali "Grande Piano di portata Storica" ci sembrano decisamente esagerati se teniamo presente la evidente sfasatura tra
-la portata e natura dei problemi sul tappeto da un lato
-quello che non va oltre un insieme di "misure" o "provvedimenti", per quanto "impacchettati" dall’altro.
Alcune "misure" non possiedono, per loro natura, l’ampio respiro strategico che un Grande Piano di portata Storica dovrebbe, e forse addirittura potrebbe, avere. Una volta che le parole vengono sganciate dalla realtà reale possono venir sganciate anche dal loro significato e quindi essere adoperate per millantare qualsiasi cosa.

f. Assenza di respiro strategico.(visione del futuro)
Se per respiro strategico intendiamo quello che deve essere inteso. Vale a dire, ben al di là di qualsivoglia "misura" dentro l’attuale modello di (non)crescita, un abbozzo, anche solo un abbozzo, di un nuovo e diverso modello di crescita del quale avremmo bisogno se volessimo davvero uscire dal pantano della decrescita.....infelice. (Vedi in questo stesso blog il post "Manca lavoro??" e "Creare lavoro o...posti di lavoro?). Rete ferroviaria efficente, organica, di qualità, economica, su scala regionale anzichè ancora strade ed automobili. Per esempio. Coordinamento delle coincidenze ferroviarie anzichè velocissime frecce multicolori non interconnesse con la rete regionale. Per esempio. Città vivibile anzichè ancora case. Ciclabilità dei centri urbani anzichè ancora automobili. Città e cittadine giardino dall’aria pulita e frizzante anzichè traffico, medicine e malattie. Messa a frutto e salvaguardia del patrimonio forestale anzichè abbandono e degrado. Salvaguardia del territorio anzichè cementificazione. Agricoltura capillare su scala locale anzichè Expo 2015. Salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico culturale anzichè areoporti inutili. Buon cibo nutriente, sano e nostrano anzichè disumani mega allevamenti - lager per animali. Energia pulita e rinnovabile dalle maree e dal ciclo dell’acqua. Riciclo integrale dei rifiuti anzichè pestilenziali discariche a cielo aperto. E così via. Solo per fare qualche esempio tra i tantissimi che si potrebbero fare.

Insomma un nuovo e diverso modello di crescita basato non sulle quantità ma sulla qualità.

Qualità significa progetto esistenziale individuale e collettivo, progetto economico subordinato e funzionale al progetto esistenziale, elaborazione democratica partecipata, condivisione, lavoro gratificante nella realizzazione di progetti economici a finalità sociale e culturale, piena occupazione, riduzione del tempo-lavoro, risparmio energetico, vera economicità, regola d’arte, circondarsi di bello e di utile. E altro. Che poi avrebbe grandi e positive ricadute anche sul piano strettamente economico.
Allora sì che potremmo parlare di Grande Piano Strategico di portata Storica! Vivaddio! Come dici tu carissimo Zorro! Una delle poche cose sicure in questi tempi di grandi incertezze è che i nostri bis-nipoti ci daranno degli emeriti, imbelli....imbecilli!

g. Totale assenza di analisi
Non cresciamo perchè non si consuma. Non si consuma perchè i cittadini non hanno soldi da spendere. I cittadini non hanno soldi da spendere perchè sono disoccupati o sottopagati e in più salassati dal fisco. I cittadini sono disoccupati perchè le imprese chiudono o delocalizzano. E sono salassati perchè bisogna far tornare i conti pubblici. Le imprese chiudono perchè non vendono. E non vendono perchè....non si consuma. Ergo: per tornare a crescere dobbiamo.......... rilanciare i consumi......
Tutto qui. Da dove e perchè inizia il garbuglio resta un mistero. Un bel circolo chiuso dal quale sarà ben difficile uscire restandoci.... dentro. Magari aumentando un poco pochino lo stipendio dei cittadini che non hanno ancora, per ora, perso il posto di lavoro. Una vera analisi alla ricerca delle vere ragioni per le quali l’economia si è bloccata non viene nemmeno tentata. Non si pò e non si deve parlarne! Di più. Il problema non esiste. Ci ritorneremo sopra nel finale cercando di capire il perchè e come mai di tutto questo.
 
(continua)



Quarta ed ultima puntata 25 marzo 2014
 
h. Lievi contraddizioni interne
Sia tra i singoli provvedimenti annunciati. sia interne alla logica che ad essi è implicitamente sottesa.
Da una parte provvedimenti a carattere "espansivo" come i 10 miliardi in busta paga a dieci milioni di occupati, dall’altra a carattere "recessivo" come aumenti di tasse sul risparmio, sui carburanti o drastici tagli alla spesa pubblica (85.000 esuberi!).
La sensazione è che ci sia:

1. una evidente sproporzione tra l’entità, molto consistente, delle "uscite" (provvedimenti di rilancio) e quella, piuttosto striminzita, delle "entrate" (le famose "coperture");

2. una evidente contraddizione intestina tra provvedimenti "espansivi" e "recessivi";

3. comunque un problema di dubbia efficacia dei provvedimenti "espansivi".

Per esempio: benissimo i dieci miliardi per dieci milioni di soli occupati ma....quale efficacia può avere questo provvedimento, ammesso che venga attuato, se pensiamo che i dati ISTAT marzo 2012 davano quasi 23 milioni di occupati (più del doppio dei beneficiandi) per 2,5 milioni di disoccupati con un aumento del 2,7% rispetto al mese di febbraio 2012.? O che il tasso di disoccupazioe, sempre alla stessa data tra i 15-24 enni era del 36%!? Ed infine, ammesso che vengano aumentati gli stipendi di fascia medio-bassa di 80 euro mensili, questo sarà sufficiente a produrre il "balzo" nei consumi del quale avremmo bisogno per "ripartire"?
In questo senso il neo Premier si trova a dover risolvere un doppio probema:

1. riuscire ad attuare quello che ha annunciato
ma non solo

2. fare in modo che i provvedimenti sortiscano gli effetti desiserati
il che non è detto.

Ricordiamoci del deludentissimo precedente del governo Prodi nel 2007: riduzione del "cuneo" per 7,5 miliardi; 60% a favore delle imprese; 40% a favore dei lavoratori; risultato nessuno. Le aziende non investirono, gli occupati non se ne accorsero. I disocupati e i pensionati di bronzo, ma anche d’oro, nemmeno.

Per ora la questione di fondo è, ci sembra, il reperimento delle famose "coperture" (soldi) per l’attuazione concreta delle "misure" finalizzate, questa l’intenzione, al rilancio dei consumi e quindi dell’economia.. Per evitare di "togliere" con una mano quello che viene "dato" con l’altra, le strade sono soltanto due. Prima strada: aumentare il già enorme Debito Pubblico. Ma questo purtroppo, non si può fare. Non mancano critiche alla "rigidità europea" e gli appelli per lo sforamento ma, per ora è una strada impraticabile. Seconda strada: diminuire drasticamente la spesa pubblica. Impresa ardua e di difficilissima attuazione. Non solo per le "resistenze" degli interessi consolidati, ma per ragioni di ordine struttural-sistemico (vedi paragrafo elle).
Resta una terza strada. Quella un poco gigionesca di togliere di qua per mettere di là, prendendo tempo e facendo credere che di rovesciamento, addirittura storico, si tratti.

l. Sullo stile e la squadra.
Qui facciamo parlare qualcuno che ne sa molto, ma molto più di noi. Si tratta di Luca Ricolfi su "La stampa" di domenica 16 marzo 2014. Vale la pena di reperire l’articolo per leggerselo integralmente.

"Per certi versi Renzi è leggermente peggio dei suoi predecessori, perchè mai nessuno ha fornito così poche informazioni sui contenuti e i dettagli dei propri provvedimenti; per altri versi è invece leggermente meglio, perchè non nasconde dietro una patina di serietà e obiettività la natura promozionale del proprio messaggio........... Da un ragazzo che da anni studia da premier, e ha avuto tutto il tempo di informarsi e diventare adulto, mi sarei aspettato uno sbarco al governo ben più attrezzato: più attrezzato di piani dettagliati,, disegni di legge, squadre di esperti. Mi sarei aspettato ministri più competenti e preparati, meno lottizzati fra partiti e correnti di partito. Se Renzi si rendesse conto davvero di quanto è complessa l’Italia (e inoltre volesse cambiarla), non avremmo assistito ad una conferenza stampa in cui nessun annuncio importante è accompagnato da norme e numeri precisi............ Rispetto ai governi passati, rispetto all’immobilismo gattopardesco del ceto politico della seconda Repubblica, Renzi ha effettivamente una marcia in più, e non solo nello stile. Di questo bisogna dargli atto. Però questo suo continuo parlare di rivoluzione, questo presentare come rivoluzionarie mosse simboliche (l’asta delle auto blu) o normali scelte di politica economica, piene di incertezze e di effetti collaterali, appare davvero fuori misura." (Luca Ricolfi "La stampa" domenica 16 marzo 2014)

i. Irap-Irpef: un vago sentore di populismo.

"Puntare sull’Irpef voleva dire dare un po’ di soldi a chi ha già un lavoro, e raggiungere subito 20-25 milioni di elettori. Puntare sull’Irap voleva dire dare un pò di ossigeno alle imprese e alle partite Iva, ma anche creare qualche posto di lavoro per chi un lavoro non ce l’ha. Fra la scelta tradizionale che guarda prevalentemente alla "società delle garanzie", e quella innovativa che guarda prevalentemente alla "società del rischio", Renzi alla fine ha scelto la strada più facile, quella degli sgravi Irpef, che gli garantiva in un colpo solo la benevolenza della Cgil e un maggiore dividendo elettorale per il PD alle elezioni europee:" (Luca Ricolfi "La stampa" domenica 16 marzo 2014)

l. Il durissimo osso della spesa pubblica.
Sulla carta le possibilità sembrano tre:
1.Tagliare spese senza, di fatto, "razionalizzare".
Sembrerebbe la logica dei cosiddetti tagli "lineari". Una pessima scelta. Da una parte fa sicuramente risparmiare soldi da destinare alle "coperture". Dall’altra produrrebbe proteste e recessione (meno soldi che girano, 85.000 (!!) esuberi, più disoccupazione, meno consumi). Dall’altra ancora lascerebbe intoccata l’altissima inefficienza burocratico-amministrativa.
2."Razionalizzare" veramente senza tagliare spese.
Sembrerebbe poco fattibile. Primo: perchè bisogna tagliare se si vogliono avere le famose "coperture". Secondo: difficile immaginare la possibilità reale di razionalizzare veramente (efficienza) un apparato che della complicazione, delle lungaggini, della inefficienze e della disorganizzazione ha fatto il proprio motivo di esistenza. Terzo: difficile immaginare una vera razionalizzazione senza drastici tagli di spesa. Per il personale e non.
3.Tagliare spese e contemporaneamente razionalizzare.
Sarebbe l’ideale per risparmiare da un lato, avere le coperture dall’altro, e contemporaneamente rendere efficiente, snella e veloce la Pubblica Amministrazione. A parte il fatto che in settori come la scuola o la sanità è un poco difficile migliorare la qualità tagliando sui costi, resta il fatto centrale che sarebbe andare a mettere le mani nella super-tana di un coacervo di interessi e privilegi, costituiti e consolidati da tempi immemorabili. Non è difficile immaginare le potentissime, estesissime, inviperite reazioni.

Ma non basta. La carovana dei carrozzoni, così com’è, oltre a garantire consenso al manovratore è comunque un enorme giro di soldi che poi vengono spesi per.... ..consumare. Quindi ridurre, risparmiare, razionalizzare, spendere meno e meglio, sono cose che malissimo si addicono ad un modello di crescita basato proprio sull’indebitamento pubblico e privato, sullo spreco, sul consumo per consumare, sullo spendere e spandere soldi, non importa per che cosa e perchè. Quindi un serio intervento del genere andrebbe incontro, ci sembra, oltre a fortissime resistenze "soggettive", a oggettivi effetti collaterali "perversi" di ordine "recessivo".

Tutto questo configura la questione della Spesa Pubblica come un intricatissimo rebus non facilmente risolvibile. E, forse, non risolvibile punto e basta.

m. Agire: arma a doppio taglio.
Proprio il dato, indubbiamente positivo, della fortissima carica energetica indirizzata ad un minimo di cambiamento può trasformarsi in un boomerang. Perchè? Ci sembra che il nostro Paese si regga da almeno mezzo secolo su un ingarbugliatissimo, delicatissimo, precario, funambolesco "equilibrio" instabile ma, paradossalmente, estremamente consolidato. Non sarà davvero un caso, pensiamo, che si sia dovuto aspettare così tanto per veder comparire un Primo Ministro con la voglia di dare un minimo di scossa. Ipotizziamo che l’immobilismo profondo che ha caratterizzato per molti decenni lo scenario italiano sia dovuto al fatto che andare a toccare il delicatissimo, consolidato garbuglio, possa provocarne rapidamente il collasso. Persino l'ex Cavaliere, nonostante i proclami rivoluzionari, si è sostanzialmente astenuto dall’agire. Mettere mano per tentare seriamente di cambiare qualcosa dell’originalissimo impasto tra spesa allegrissima, indebitamento, consumismo, spreco, corruttele, malaffare, delega, menefreghismo, clientelismo, qualunquismo, particolarismi corporativi, buona volontà mal indirizzata, rare eccellenze, affarismo, superficialità, pressapochismo, sciatteria, demotivazione, assenza sistematica di visione progettuale e molto altro di questo tipo, sul quale si "regge" l’intricato, consolidato ma delicatissimo equilibrio instabile di tipo sociale, economico e culturale di cui sopra, potrebbe produrre ancor più problemi di quanti non ne risolva. In ultima analisi aggravare la situazione. Pensiamo che questa ipotesi potrebbe spiegare parecchie cose "inspiegabili". In quali forme precise la situazione potrebbe aggravarsi, non è dato per ora sapere. Quello che possiamo ragionevolmente immaginare è che si tratterà, se del caso, di venti di tempesta. In ogni caso il tentativo di dare una scossa è, di per sè, molto salutare. Era ora.


n. Per concludere: assiomi & tabù ovvero l’indicibile.
L’edificio concettuale del nostro neo Primo ministro -ma non solo suo- si regge su un assioma: l’economia non gira perchè sono calati i consumi. Insomma, la crisi è una crisi da scarsità di domanda. Quindi per far ripartire l’economia è necessario rilanciare i consumi. E per rilanciare i consumi è necessario che i cittadini abbiano tanti più soldi in tasca. Fin qui il detto. Poi il sottinteso: I cittadini avranno tanti soldi in più in tasca e troveranno lavoro ben retribuito quando....l’economia sarà ripartita. Proviamo, per ora, a darne un poco pochino in più agli occupati e...speriamo. Come si può notare non si tratta di una vera analisi ma di una constatazione che non va oltre la pura e semplice descrizione di un circolo chiuso e vizioso. Così facendo restiamo, e resteremo, prigionieri del classico insolubile dilemma. Più uova per avere più galline o più galline per avere più uova?
Ci permettiamo qui di avanzare una pura ipotesi che, se verificata, si rivelerebbe letteralmente sconvolgente. E se il problema fosse tutt’altro? Se la vera questione fosse che abbiamo troppe galline che producono troppe uova? E che non riusciamo più a mangiarne, di galline e di uova, perchè abbiamo fatto indigestione? In altre parole la sconvolgente ipotesi sarebbe questa: all’origine dell’arresto della crescita non ci sarebbe la caduta della domanda ma, viceversa, un eccesso di offerta.

La parola magica è: sovrapproduzione. Ovvero produzione eccessiva rispetto alle possibilità di assorbimento del mercato. L’ipotesi non è del tutto campata per aria ma ha fondamento storico.

Proviamo a fare un altro ragionamento partendo da qui.
1.
L’eccesso di produzione, che tutti possiamo constatare ogni giorno ed in qualsiasi campo -basta guardarsi intorno- ad un certo punto determina un calo delle vendite.
2.
Il calo delle vendite determina calo dei profitti di chi produce e quindi contrazione di tutto il resto. Dagli investimenti alla occupazione, ai redditi, ai consumi.
3.
L’inflazione aiuta la contrazione dei consumi. Teniamo presente che, per esempio, dall’introduzione dell’euro ad oggi l’aumento dei prezzi relativi a beni di base quali latte, carne e pane hanno subito aumenti tra il 100 ed il 200 per cento con punte del 267 per cento. (fonte G.A.Stella Prima pagina radio tre mese di febbraio 2014)
4.
Viene studiato di tutto, ma proprio di tutto, nella speranza di far tirare ancora un mercato che tira sempre di meno. Dall’usa e getta alla estrema delicatezza di ogni congegno che per giunta non può essere riparato, agli incentivi per rottamare anche il seminuovo al continuo sfornare nuovi modelli di tutto, alle inutili diavolerie varie che ogni giorno vengono partorite nella speranza di...vendere ancora e...ancora di più.
5.
Ma, tutto questo spreco non basta. Lo strumento numero uno per drogare il mercato è: indebitamento. Privato e pubblico. Se per comperare, e quindi far vendere, ci vogliono soldi e i soldi non ci sono o non ce ne sono abbastanza, possiamo.... spenderli lo stesso indebitandoci e......sperando di averli un domani.
6.
Se, come spessissimo accade specie in tempi di scarsa crescita, domani i soldi per pagare i debiti contratti non ci sono, cominciano i crack, i default o fallimenti finanziari, e non, che dirsivoglia. In qualsiasi campo, di qualsiasi tipo ed a qualsiasi livello.
7.
I crack finanziari, in questa ipotesi, sarebbero quindi non tanto la causa ma l’inevitabile conseguenza- sintomo del blocco economico originato dalla "banalissima" questione che la capacità produttiva, in regime industriale, finisce sistematicamente per essere terribilmente sovradimensionata rispetto alla capacità di assorbimento del mercato. La cosa, lo ripetiamo, non è bizzarramente fantasiosa ma ha fondamento storico e fattuale. Così si spiega, per esempio la perversa dinamica dei famosi mutui subprime la cui vera origine stà nella realtà reale: aver costruito troppe case rispetto ai reali bisogni ed averle adoperate come motore di "sviluppo" e fonte di pura speculazione monetaria. Chiaramente i fallimenti finanziari, più o meno piccoli, grandi ed enormi, si avvitano fatalmente con le vere cause prime determinando, una buona volta, la fine della crescita.

Ma non lasciamoci prendere la mano e fermiamoci qui. Per ora.

Speriamo semplicemente di aver contribuito ad avviare una sano dibattito sulla cruciale questione, occulta ed occultata. Discussione alla quale invitamo i cittadini, economisti e non, a partecipare.
Una cosa però va ancor detta prima di lasciarci. Come mai e perchè di tutto questo, sebbene "banale" e sotto gli occhi di tutti quotidianamente, si evita accuratamente di parlare? Mistero nel mistero? Anche per questo abbiamo una ipotesi. Ancor più sconvolgente, se possibile della precedente. Si evita accuratamente di parlarne perchè il solo parlarne metterebbe automaticamente in discussione il modello di crescita quantitativa (vedi puntate precedenti) finora seguito. E persino, forse, i fondamenti stessi sui quali si basa il modello socioeconomico nel quale viviamo. E questo, per una serie di sacrosante, motivatissime e comprensibilissime ragioni, è proprio quello che non si vuole fare. E qui il cerchio è davvero chiuso. Carissimo, impagabile, romantico Zorro!

Se le cose stessero in questo modo potremmo sperare di toglierci dal circolo chiuso e vizioso soltanto:
1.
Incominciando a parlare dei veri motivi per i quali non "cresciamo".
2.
Incominciando a pensare un modello di "crescita" (forse bisognerà trovare un’altra parola) non più basato sulle quantità (di più e sempre di più) ma sulla qualità (meglio e sempre meglio).
Perlomeno così a noi pare, carissimo Zorro!
(fine)

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