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lunedì 4 maggio 2015

Tasto, tastiera, musica o.....strumento?


Tra i numerosi commenti suscitati dal post “Fare soldi e.... agire razionalmente” pubblicato nello scorso mese di febbraio, particolare rilievo assume quello del Prof. Ottolini, che sentitamente ringraziamo, per la quantità e qualità degli spunti che ci offre.

Ecco di seguito il testo integrale con, in calce, la nostra risposta.


Commento alla prima puntata del post "Fare soldi e....agire razionalmente".


Grazie del stimolante invito, alla comune ricerca del tasto nascosto … o forse di una diversa tastiera, se non di tutt’altro strumento.



Sulla costante distorsiva niente da ridire, lo dicevamo in tanti alla fine degli anni ’60 del secolo scorso: il vizio è del "sistema".

Ma col passare dei decenni – e da qui parlo per me perché le strade di noi di quella generazione si sono in gran parte divise e divaricate – mi son reso conto che il "sistema" assomiglia assai poco al Moloch che pensavamo di contrastare. Al di là della "costante distorsiva" che ha certo radice nella separazione fra valore d’uso e valore di scambio e pertanto tra la qualità di un prodotto e il suo valore economico, il "sistema" si è dimostrato molto più flessibile, magmatico, cangiante, capace di adattamento, di deviare e rimettersi poi in carreggiata, di reggere i colpi di quanto fossimo in grado di immaginare. Più che un Moloch terrificante o un Levitano hobbesiano mi vengono in mente altre immagini. Un flessuoso e accattivante gattopardo (cambiar tutto perché nulla cambi) e una fiumana maleodorante e gelatinosa che tutto invade e corrompe (Blob, il fluido mortale).



Lottavamo contro la società autoritaria e l’autoritarismo, per poi accorgersi che la società permissiva ha poco a che vedere con la felicità e la realizzazione; contrastavamo divieti e censure e ci ritroviamo in una società dove più o meno tutto è lecito. Il sociologo francese Alain Ehrenberg ne parlava già agli inizi degli anni ’90: la depressione – sindrome diffusa della società moderna – si è trasformata da patologia della colpa (in conflitto con l’es, con il desiderio) in patologia dell’insufficienza (in conflitto con il "culto della performance", della prestazione) con benefici crescenti (la costante di cui sopra) per l’industria farmaceutica: la società del Prozac. Lottavamo contro la scuola d’élite (la scuola di classe) per ritrovarci in una scuola di massa dequalificata: riforma Moratti, corsi di laurea triennali che di "universitario" spesso han ben poco, ed ora la "buona scuola" in sintonia con la superficialità pubblicitaria dei tweet renziani.
E potrei continuare.

Il giornalista (e non solo) Valentino Parlato soleva ripetere: "nel mercato la cattiva merce caccia quella buona" (altra declinazione della costante distorsiva).
Da un po’ di tempo mi interessa maggiormente, rispetto al "sistema" (rispetto alla/e costanti di lungo periodo), capire la "fase" (le specificità di medio – breve periodo). Non è escluso che qui si possa prevedere (o almeno intravedere) qualche possibile via d’uscita (o perlomeno di scantonamento).
C’è un aspetto tra gli altri che mi viene in mente (ne avete accennato con il primo esempio), una contraddizione su cui forse si può "lavorare". La finanziarizzazione dell’economia (da "D – M – D+" a "D – D+") accelera il trasferimento di ricchezze e la divaricazione crescente tra un numero sempre più piccolo di ricchi sempre più ricchi e l’impoverimento crescente di tutti gli altri (nemmeno ai tempi dei Faraoni, si è detto, esistevamo differenze tali di reddito). Questo è in contraddizione (vostri esempi 2 e 3) con le esigenze di ampliamento del mercato. Certo una parte della produzione si orienta allora verso le nuove élite. Mi diceva un operaio della Bialetti: qui ormai si produce solo "l’alta gamma"; il resto è prodotto nei paesi dell’est dove il lavoro è a basso costo.
Ma i ricchi sempre più ricchi potranno acquistare prodotti sempre più costosi ma la loro ricerca famelica è quella della ricchezza non tanto dei beni di lusso e comunque prima o poi si crea un sovracccumolo, un ingorgo.
E dall’altra parte i beni "di massa" sempre di peggior qualità e (relativamente) a basso prezzo si scontrano con le disponibilità economiche sempre minori dei possibili acquirenti.


L’ingegner Valletta non godeva certo di simpatie diffuse né tra gli operai né a livello sociale; eppure il suo onorario non superava di 30 volte quello di un semplice operaio della FIAT. Certo allora sembrava tanto. Ma l’amatissimo Marchionne (elogiato a destra e manca) pare abbia un "onorario" tra le 800 e le 1000 volte superiori ad un operaio dell’azienda che dirige.

Naturalmente è solo un esempio: di redditi esorbitanti di manager pubblici e privati è pieno il nostro paese.

Il "paese" non è più povero; sono le persone più povere.

Pensare a forme redistributive può essere una risposta (di fase, se non di sistema).

I giovani socialisti svizzeri hanno non molto tempo fa proposto un referendum per impedire, nello stesso settore di lavoro, stipendi superiori oltre le 10 volte di quello più basso.

Certo il referendum è stato democraticamente bocciato dagli elettori elvetici e i promotori son stati bollati come ingenui.
Ma almeno hanno avuto il coraggio di porre all’attenzione il problema.
Mi fermo qui anche se mi vengono in mente altri "scantonamenti". Semmai a commento della vostra prossima puntata.
Buon lavoro e buona resistenza umana.
Gianmaria





Commento alla seconda puntata.


Cari resistenti umani

Vi rispondo con qualche giorno di ritardo perché precedentemente impegnato in altro e desideravo leggere la vostra seconda puntata di "Fare soldi e … agire razionalmente" con la dovuta attenzione e con il tempo per restituirvi qualche considerazione.Innanzitutto un grazie per aver ripreso in forma sintetica e brillante una tradizione di pensiero critico oggi non più molto di moda. Ne abbiamo bisogno tutti.Anche per questa seconda parte valgono le mie osservazioni precedenti. Il "Sistema Storico" a cui fate riferimento è un sistema di lungo periodo (gli ultimi tre secoli, ma il mercantilismo dei secoli precedenti da molti è visto come la sua naturale preistoria e transizione) e voi ne sottolineate le costanti della sua "natura irrazionale".Ma la storia è fatta di onde lunghissime e lunghe che agiscono in profondità, di onde di media lunghezza che agiscono sotto la superficie (fuor di metafora i cicli economici e le trasformazioni sociali) e di onde brevi e spezzate che agiscono in superficie (gli eventi e la cronaca).Il pensiero (che se è veramente tale è sempre critico) è in grado di sondare la profondità e capire che le cose (la ragione delle cose) non corrispondono a ciò che appare. Vale per la storia, l’economia, la società, il comportamento umano (la psicologia) ma – come sa ben spiegare Carlo Rovelli nei suoi testi dal poco prevedibile successo editoriale – anche per la natura fisica (micro e macro) del nostro mondo e dell’universo.La forza del pensiero!Ma ahimé – bisogna aggiungere - anche la inanità del pensiero.Tra il pensare e il fare; tra il conoscere e il cambiare c’è una discrasia di cui bisogna esser consapevoli e che va a sua volta indagata. Altrimenti si conosce senza saper fare e – molto più spesso – si fa senza capire quel che si fa. L’azione dei singoli agisce sul breve periodo (sulla cronaca); quella dei gruppi (sociali, associativi, politici ecc.) talvolta, quando è particolarmente efficace, anche sul medio periodo. Solo i visionari pensano di poter mutare le costanti di lungo periodo.Tra i visionari (tra questi anche molti fanatici) e gli acquiescenti non c’è allora alta possibilità? Tutt’altro. Ma la strada è impervia, tutta da scoprire e riscoprire in ogni fase.Questo il motivo per cui personalmente non mi basta "smascherare" la logica perversa e irrazionale del "sistema". Come vi dicevo:"Da un po’ di tempo mi interessa maggiormente, rispetto al "sistema" (rispetto alla/e costanti di lungo periodo), capire la "fase" (le specificità di medio – breve periodo). Non è escluso che qui si possa prevedere (o almeno intravedere) qualche possibile via d’uscita (o perlomeno di scantonamento)."In questa fase mi pare che una delle principali contraddizioni sia appunto la concentrazione crescente della ricchezza e la necessità di espandere il mercato. Facevo l’esempio di Marchionne sottolineando "il suo onorario tra le 800 e le 1000 volte superiori ad un operaio dell’azienda che dirige"; ebbene pare che errassi molto per difetto: secondo Gad Lerner (cfr. il suo blog) il suddetto guadagna come 2000 operai della FCA. Un battaglia civile contro gli squilibri assurdi di reddito (dei manager privati e pubblici e di tanti altri personaggi "di successo") può essere nel contempo un "tema" per far prendere coscienza dell’assurdità dell’attuale sistema socio-economico e dar vita ad una azione praticabile. Altro tema (altro scantonamento) quello dei beni comuni e della comunità. Ad un certo punto (Razionalità e basta) parlate di "bene comune". Io diffido di questa espressione; certo voi la coniugate con eco-nomia (col trattino). Ma c’è un bene comune generale? E chi lo conosce? Chi decide qual è, visto che le opinioni possono esser tante? La storia del concetto è illuminante. Platone osservando che "tutte le città erano mal governate" individua in un governo aristocratico guidato da un’oligarchia di filosofi l’unico in grado di portare giustizia negli affari pubblici e realizzare il bene comune. L’idea che "qualcuno" (sia esso un singolo, una classe, un partito, un gruppo religioso ecc.) decida qual è il "bene comune" è una di quelle Mal-avventure di cui la storia è piena. Questo anche perché "bene comune" è una astrazione.Allora meglio parlare di "beni comuni" al plurale. Questi sono concreti e individuabili, anche se non sempre evidenti e, altra caratteristica importante: sono "comuni", attengono appunto ad una comunità e, finché rimangono tali, sono fuori dal mercato.La internazionalizzazione (o globalizzazione) dell’economia fa sì che i processi economici siano sempre meno controllabili a livello locale e, spesso, nazionale. I cambiamenti e le trasformazioni investono i territori che non riescono a reagire. Pensiamo alla crisi del manifatturiero nella nostra provincia, con la delocalizzazione di molte industrie e la chiusura "secca" di altre. I beni comuni sono spesso legati al territorio e in quanto tali non "delocalizzabili" (per la nostra provincia penso in primis al bene comune "paesaggio"); oppure sono immateriali (es. la conoscenza). Allora (butto lì, ma il discorso sarebbe lunghissimo) un percorso di costruzione di comunità in grado di difendere e valorizzare i beni comuni mi sembra possa mettere in relazione razionalità (pensata) e razionalità effettiva del fare. Grazie ancora delle suggestioni e riflessioni.
Gianmaria.


La nostra risposta :


Egregio Professor Ottolini,



gli spunti da lei forniti sono molti e di notevole interesse. Cercheremo quindi di raggruppare i principali per paragrafi corredati da alcune nostre "controriflessioni". Per poi tentare di dire qualcosa, nel finale, sulla natura di quella che ci sembra la questione centrale: taso, tastiera, musica o....strumento?



 

Moloch o gattopardo?
Siamo perfettamente d’accordo con lei. Il Sistema Storico nel quale viviamo ha tutta l’aria di essere un astuto gattopardo capace di riconvertire ai propri fini di "razionalità economica" praticamente qualsiasi cosa. Molto più pericoloso quindi di un monolitico colosso. Non per niente il Moloch "Comunismo Reale", che potrebbe benissimo essere considerato una forma estrema di capitalismo super-centralizzato, perlomeno è stato in grado di finire. Mentre il gattopardo della Libera Economia di Mercato Capitalistica potrebbe "tranquillamente" durare in (quasi) eterno.


Lottavamo........
Ciò che è stato espresso, anche di notevole, dalla contestazione globale a cavallo tra gli anni sessanta e settanta è stato riassorbito e dequalificato in funzione di nuovi idoli cosumistici e di nuovi tabù come lei dice. Da aggiungere, a nostro parere, c’è che il Movimento di allora è stato cacciato nel vicolo cieco oltre che dalla potente controffensiva (anche cruenta) del Sistema, dalla propria incapacità ad "osare" di più sui contenuti: Per un progetto di assetto socio-economico diverso dal capitalismo. Libero o di Stato che esso fosse.


Periodi lunghi, brevi e...scantonamenti
Come possiamo pensare di essere davvero efficaci e di riuscire a costruire la prospettiva unificante, socialmente ampia, della quale avremmo bisogno se limitiamo il nostro pensiero dentro gli angusti confini del periodo breve o anche medio? Capire le fasi e la loro specificità è sicuramente importante, ma costruire vie d’uscita è una cosa. Mentre "scantonare" pur facendo di necessità virtù, è cosa affatto diversa. Per esempio la contraddizione crescente tra ricchezza e povertà da lei citata è sicuramente un potente aggancio per un percorso critico nei confronti degli attuali assetti socio-economici. Ma è una delle infinite contraddizioni. E di per sè, quando anche fosse accompagnato da forme di redistribuzione, peraltro auspicabili, non costituirebbe -a nostro parere- il Piano Problematico Complessivo di Base del quale avremmo oggettivo bisogno oggi.
Non possiamo limitarci -sempre a nostro parere- a ragionamenti che riguardino questo o quell’aspetto delle onde brevi e spezzettate di superficie ma dovremmo scendere nelle profondità di quelle lunghe e lunghissime che determinano l’evolversi (o l’involversi) storico. Allora forse potremmo tentare di colmare la discrasia tra conoscere senza saper fare e fare senza capire quello che si sta facendo. Atteggiamenti questi, mentali prima di tutto, che ci stanno letteralmente soffocando. Non solo. Ma tentare anche di colmare le distanze tra la dimensione del singolo e quella dei gruppi. Ma -è nostra convinzione profonda- questo non è possibile senza diventare, e in molti, letteralmente visionari. Non nel senso di fuori di senno ma nel senso costruttivo che il termine indica: con una visione del futuro che vogliamo realizzare. Non visionaria. Praticabile.

 
 
Bene comune
Perfettamente d’accordo con il concetto da lei espresso ma con qualche precisazione. Quale sia (o non sia) il bene comune può e deve essere stabilito da un processo veramente democratico di elaborazione -prima e di attuazione poi- di un progetto di trasformazione del modello economico, sociale, politico e culturale nel quale viviamo. Le male avventure disastrose delle quali è piena la storia sono state sempre il frutto di quando "qualcuno" ha stabilito una volta per tutte, e per tutti , quale doveva essere il bene comune. Ma questo non deve significare che allora siamo condannati a subire per sempre il nefasto (letterale) stato di cose presente. Non meno pericoloso infatti è lo sbando al quale viene lasciata una situazione in nome di una falsa, presunta "democrazia".


Costruire Comunità
Il suo interesante commento si chiude con un richiamo che ci trova assolutamente concordi. Dobbiamo costruire Comunità, a partire dal locale in grado di riconoscere, difendere e valorizzare i veri beni comuni. In primo luogo l’ambiente che ospita e permette l’esistenza degli esseri umani, insieme a tutti i viventi. Allora e soltanto allora, potremo colmare il divario tra una vera razionalità del pensiero ed un vero fare finalizzato, non al tornaconto monetario di pochi ma alla cura della casa comune. Di tutti.

 
 
Vorremmo chiudere questa serie di "contro" ragionamenti con alcune domande che ci poniamo -e poniamo- sulla natura del passaggio storico che stiamo vivendo. Meglio sarebbe dire subendo.
Domande che ruotano tutte intorno a quella che a noi sembra la questione davvero centrale. Sistematicamente rimossa. Sulla quale ci piacerebbe sentire il parere suo e dei nostri attenti lettori. Vale a dire la necessità oggettiva del superamento dell’attuale sistema socio-economico da un lato, e la speculare necessità di uno "sforzo" progettuale soggettivo, ancorchè collettivo, per l’eventuale attuazione di tale superamento dall’altro.

Ovunque noi si volga lo sguardo tutto ci racconta che il Sistema Storico nel quale viviamo sta portando l’umanità ad una Grande Catastrofe Planetaria. Intreccio di infinite catastrofi "minori". Nonostante le magnifiche sorti e progressive dello sviluppo capitalistico. Anzi, proprio a causa di questo.
Se questa è la natura della "contingenza" storica nella quale ci troviamo, possiamo accontentarci di quelli che lei chiama "scantonamenti"? Oppure sarebbe oggettivamente necessariio porsi -e porre- in termini espliciti il problema del superamento del capitalismo? Per quanto folle possa sembrare, la vera follia non consiste forse nel riproporre pervicacemente, come se nulla fosse, l’insostenibile modello della crescita perpetua? Sia pure in diverse salse? Quale è il motivo per il quale non ci poniamo -e non poniamo- in termini espliciti questo problema? Anche da parte di chi dovrebbe -e potrebbe- farlo?
Pensiamo forse che il capitalismo, nonostante ben due secoli di prove storiche contrarie, possa un giorno, magicamente, trasformarsi in qualcosa di razionale al servizio di un progetto eco-nomico? Veramente umano e su scala planetaria?
Oppure riteniamo che qualcosa di veramente diverso possa nascere un giorno (quale?) per germinazione spontanea dentro la cornice del sistema capitalistico in modo analogo alla germinazione del capitalismo dentro la cornice della società medioevale?
Come mai non siamo ancora convinti del fatto che il capitalismo, pur non avendo -e non potendo avere- un vero futuro veramente costruttivo, potrebbe "tranquillamente" durare in "eterno" e/o fino alle estreme finali conseguenze nel caso in cui non fossimo capaci di delineare un progetto di modello alternativo basato anzichè sulla "razionalità economica" sulla eco-nomia razionale? Che cosa aspetiamo? In che cosa speriamo?
Il tutto non è doppiamente sconcertante se consideriamo che il criterio di fondo sul quale potrebbe-dovrebbe poggiare una visione affatto diversa è tutto sommato relativamente semplice. Forse troppo semplice per le nostre menti disorientate. Vale a dire la sostituzione della libera economia di mercato con la eco-nomia. Quindi assolutamente non libera bensì al servizio di un progetto umano-esistenziale elaborato in forme veramente democratiche a partire dalle realtà locali. Il tema centrle del progetto srebbe in questo caso: "Che tipo di vita vogliamo fare oggi, qui, e in prospettiva, verso un futuro degno di essere vissuto?" Non potrebbe questa "semplice" visione non visionaria rappresentare una via d’uscita dal cul di sacco evolutivo nel quale la cosiddetta civiltà umana, della quale il capitalismo non rappresenta che l’ultimo atto, si è cacciata con le proprie mani? Oltre che l’unico modo di superare veramente la cosiddetta crisi nella quale siamo -e saremo- sempre di più impantanati?

Il tutto, evidenteremente, comporterebbe qualche vero cambiamento veramente sostanziale. Magari non proprio graditissimo a proprio tutti. Ma sicuramente a molti. Forse moltissimi.



Ringraziandola per il contributo e l’attenzione accordataci la salutiamo cordialmente.

Resistenza Umana




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