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venerdì 6 maggio 2022

Sull'orlo del baratro 2

Seconda puntata


  “Sappiamo che dietro la nube opaca della nostra ignoranza e l’incertezza sugli esiti dettagliati degli eventi, le forze storiche che hanno plasmato il secolo continuano ad agire. Viviamo in un mondo catturato, sradicato e trasformato dal titanico processo tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. Sappiamo, o perlomeno è ragionevole supporre, che tale sviluppo non può proseguire all’infinito. Il futuro non può essere una continuazione del passato e vi sono segni, sia esterni sia, per così dire, interni che noi siamo giunti a un punto di crisi storica. Le forze generate dall’economia tecnico-scientifica sono ora abbastanza grandi da distruggere l’ambiente, cioè le basi materiali della vita umana. Le stesse strutture delle società umane, comprese alcune basi sociali dell’economia capitalista, sono sul punto di essere distrutte dall’erosione di ciò che abbiamo ereditato dal passato della storia umana. Il mondo rischia sia l’esplosione che l’implosione. Il mondo deve cambiare.

Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e -se i lettori condividono l'argomentazione di questo libro- sappiamo anche perché. Comunque, una cosa è chiara. Se l’umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio.”

(Eric J. Hobsbawum “Il secolo breve” 1914-1991 BUR 2019)


Anneghiamo nella cosiddetta “informazione”. Realtà -non dimentichiamolo- virtuale, nella quale spesso e volentieri è estremamente arduo capirci qualcosa, persino in quello che dovrebbe essere il suo campo specifico. Vale a dire il racconto -non dimentichiamolo- di che cosa succede. Per coloro i quali cercano, faticosamente, di informarsi. Figuriamoci per gli altri.

La citazione dell’insigne storico britannico ci permette di metterci in cammino su un’altra strada. Quella che noi cercheremo di battere. Quella della quale abbiamo -avremmo- un bisogno letteralmente vitale. Sempre. Ma più che mai oggi.  Allargare lo sguardo per cercare di capire perché quello che succede, succede.

E’ vero. A questioni di enorme complessità non ci sono spiegazioni semplici. Possiamo lasciar perdere. Troppo difficile ed impegnativo. Oppure incamminarci, con pazienza, sulla strada della ricerca. Dei perché.

Con pazienza.

Non è il momento.

E qui la prima, scontata, classica, ottusa obiezione. Non è il momento. Quando la casa brucia l’unica cosa da fare è agire per cercare di spegnere l’incendio. Non è il momento di mettersi a disquisire sul perché la casa ha preso fuoco. Naturalmente c’è un fondo di verità. Come sempre e qualsiasi cosa venga detta. Da chiunque. 

Certo. Sarebbe opportuno, per prima cosa, spegnere l’incendio. Ammesso che 1. la cosa sia possibile e 2. che ci si riesca. O perlomeno circoscriverlo. Evitando, magari, di soffiare sul fuoco nel patetico tentativo di spegnerlo. 

Non è il momento. E quando mai lo sarà? Il trucco ormai lo conosciamo abbastanza bene. Quando la casa non brucia non c’è problema. Non vedete? Tutto va per il meglio. Viviamo nel migliore dei mondi possibili. In particolare noi democratici. Perché mai dovremmo riflettere e porci delle domande? Non è il momento. E, quando la casa brucia, meno che mai. C’è da correre ai ripari.  Quindi non è mai il momento.

Un po’ come quando -prima- creiamo le condizioni perché le persone si ammalino e -poi- facciamo di tutto e di più, magari “eroicamente”, per curare malattie.

Ci sembra che con questo furbo "ineccepibile" giochetto del “non è il momento”, sarebbe opportuno finirla. Troppe volte si è ripetuto nella Storia. Messo sistematicamente in atto da coloro i quali dal porre e porsi domande hanno nulla da guadagnare. E molto da perdere. E’ “pericoloso”. Per gli “assetti” costituiti. Di qualsiasi genere essi siano. I risultati sono sempre stati -poi- disastrosi. Ed è dire poco. Non ci è bastato? Non ci basta?

Le parole dell'insigne storico britannico, scritte negli anni '90 dello scorso secolo, ed arrivate al pubblico italiano, chissà perché, una ventina d'anni dopo, sono attualissime. Oggi, domani ed anche dopodomani. E ci mettono sulla strada corretta. 

Se c’è un modo davvero realistico di circoscrivere l’incendio, per poi tentare di spegnarlo evitando la catastrofe  che ci attende se perseverassimo nel giochetto del “non è il momento”, è quello di chiederci perché e come mai la casa -tanto ospitale vivaddio!- ha preso fuoco. Se per caso l’abbiamo costruita con materiale altamente infiammabile. E se, non contenti, abbiamo lasciato che “pazzi”, da noi regolarmente designati con metodi rigorosamente democratici abbiano potuto, una volta insigniti del Potere, mettersi a giocare con i cerini accesi. Lasciandoci poi trascinare -noi- nei loro deliri di onnipotenza. Offensivi. Difensivi  Ed offensivi a scopo di difesa preventiva. 

Anche se, evidentemente, una differenza tra aggressori ed aggrediti indubbiamente c’è.

Professioni di fede

E qui veniamo ad una seconda questione.

Non so se avete notato che i cultori del “più chiaro di così non si può” si stracciano le vesti di fronte a qualsiasi accenno critico-problematico sulla situazione in atto, che non venga preliminarmente anticipato da una dichiarazione “di fede” intorno a chi è l’aggressore e chi l’aggredito. Come se l’evidenza dei fatti non bastasse. L’esagerata -immancabile- enfasi  posta regolarmente su questa faccenda è sospetta. Che i cultori del “più chiaro di così non si può” nutrano qualche segreto ed inconfessabile dubbio a questo proposito? Se così non fosse perché mai dovrebbero richiedere  la preventiva dichiarazione “di fede” intorno a fatti evidenti, inequivocabili, più che eloquenti e che quindi parlano da soli?

A scanso di spiacevoli equivoci sempre possibili, e forse probabili, dichiariamo qui, visto che ve ne è bisogno, che l’aggressore è il Sig. Putin. Che l’aggredito è il Sig. Zelenskyj con tutto il popolo ucraino. Che la cosa è di inammissibile gravità e che lede qualsiasi principio scritto, e non scritto, di rispetto reciproco tra le nazioni, nonché tra i popoli da esse rappresentati.

Dopo di che dichiariamo anche che il "ragionamento" non può finire qui. Su questa ovvietà. Pur gravissima, inammissibile, ed in alcun modo giustificabile. Ma che ovvietà resta. E quindi ci porta da nessuna parte.

Scenari 

A meno di pensare:

1. Che Putin voglia arrivare davvero fino a Lisbona. Assurdo.

2. Che la “soluzione” sia una sconfitta militare della Russia. Pressoché impossibile. Anche se fanno capolino, qua e là, malriposte speranze di Vittoria.

3. Che la “soluzione” sia un rovesciamento dello “Zar” dall’interno. Altamente improbabile.

In ogni caso, fermandoci alla constatazione dell’ovvietà e “semplicemente” armando l’aggredito noi soffiamo sul fuoco nella illusione di spegnerlo. 

Sembra proprio che la direzione di marcia, e da parte di tutti, aggressori, aggrediti e sostenitori degli aggrediti sia, per il momento, questa. Perseverando il baratro è pressoché assicurato.

In questa situazione l’unica “soluzione”, che tutto ci dice sarebbe peraltro e comunque provvisoria, non può che essere una, per quanto possibile, seria, onesta e soddisfacente trattativa tra le parti in causa. Che però, purtroppo e chissà perché, pare proprio che nessuna delle suddette voglia davvero.


(continua)





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