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giovedì 14 agosto 2014

Valorizzare ? (1) (2) e (3)


Questo è un piccolo, emblematico, caso italiano. Lungo le coste massacrate  di una bellissima, grande isola del Mediterraneo. Ma potrebbe benissimo essere lungo le coste del nostro magnifico lago. O sui rilievi collinari e montani prossimi e meno prossimi ad esso. O dentro la nostra amata, e in gran parte massacrata, cittadina.
 Il fenomeno procede indisturbato dalla scala locale a quella nazionale, a quella, ormai, mondiale. Da noi ha preso l’avvio nei fatidici anni 60-70 del novecento. Non a caso l’era del miracolo economico. In quello che una volta si chiamava " terzo mondo" un po’ più tardi, ma stanno recuperando molto bene il tempo perduto. Peccato che vivere nel brutto sia devastante. Non solo per l’anima del paesaggio ma per quella delle persone che ci vivono: noi.
 

 

Prima puntata    15 agosto 2014


C‘era una volta, non tantissimo tempo fa, una baia dalla bellezza sconvolgente. Da togliere il fiato. Molto ampia eppure protetta. Sulla costa meridionale di una grande isola del mediterraneo. Territorio della Repubblica Italiana. Affacciata al pieno mezzogiorno aveva il carattere inconfondibilmente solare che le coste affacciate a Nord non hanno e non potranno mai avere. Un semicerchio molto allungato, quasi un semiellisse, di sabbia finissima assolutamente bianca. Molto particolare. Al contatto della quale i piedi gioiscono. Nella parte occidentale la spiaggia, larga un centinaio di metri si interrompe ed incomincia una lussureggiante striscia di vegetazione. Pino d’Aleppo. Uno stupendo albero non molto alto ma poderoso, dal tronco ricoperto di grandi scaglie color grigio chiarissimo che ai bordi sfumano in un delicato ocra chiaro. Gli aghi disposti a ciuffetti sono di un tenerissimo verde. Il portamento è ad ombrello, ma abbastanza contorto. In particolare nella prima linea verso il mare dove alcuni quasi strisciano sulla sabbia offrendo ombra e nascondigli.
Alla estremità occidentale la baia si conclude con un capo, non molto alto, roccioso e ricoperto di macchia mediterranea. dove un piccolo fiume sfocia nel mare. E’ la parte protetta dal maestrale, qui a volte particolarmente robusto, che offre asilo al rado naviglio di passaggio. Sul lato orientale invece la spiaggia si trasforma gradualmente in una serie di rilievi sabbiosi modellati dal vento. Prima di modesta dimensione, poi sempre più pronunciati diventando vere e proprie grandi, bianchissime dune dalle forme superbe. Ricordano certe forme scultoree dell’arte moderna o meglio i corpi di bianche, immense balene arenatesi qui chissà quando e chissà perchè. Il silenzio è assoluto. Pochissimi visitatori spariscono nella immensità del luogo. Il vento nelle orecchie e lo stormire dei pini d’Aleppo, ora in lontananza. Qui la vegetazione si fa sempre più rada. Cespugli di ginepro e profumatissimo rosmarino. Poi più niente. Un Erg sahariano in miniatura. Ci si può divertire a salire e scendere per le dune a volte su pendii ripidissimi dove i nostri passi, faticosi in salita o velocissimi lungo vertiginose discese, trovano cedevole appoggio. Ogni tanto ci voltiamo a guardare ammirati le nostre tracce. Le uniche. Il mare è cristallino. Il fondo di sabbia bianca gli da quella trasparenza turchese tipica di più lontani paesaggi marini. Nulla, ma proprio nulla, da invidiare all’esotico Caribe.
Ma.
Ci troviamo, purtroppo e non per colpa nostra, a vivere in un meccanismo nel quale l’imperativo categorico numero uno è quello di procurarsi del denaro. Se possibile con mezzi leciti. Per esempio inventandosi un lavoro se non c’è. Magari "utile" nel senso che potremmo migliorare una situazione troppo naturale, troppo poco conosciuta, troppo poco sfruttata, offrendo una serie di servizi. Il luogo è incantevole, come abbiamo visto, e i requisiti ci sono tutti. Può e deve essere "valorizzato".
Bene.
Nel giro di pochi anni la stradina sterrata che conduceva alle quattro casette di pescatori-contadini affacciate sul capo ad occidente è stata trasformata in una ampia e comoda strada asfaltata. Al suo termine, abbattendo diversi ettari di pino d’Aleppo sono stati realizzati una serie di ampi e comodi parcheggi dotati di servizi vari dal fast-food ai gabinetti-loculo di rovente plastica. Sì perchè nella realizzazione di ettari di parcheggio non si è pensato di lasciare qualche albero, qua e la, a fare un po’ d’ombra. La spiaggia è stata data in concessione e sono stati installati una serie di "bagni", almeno cinque. Cinque distinti gruppi di ombrelloni. Allineati e coperti come senso geometrico richiede, con tanto di lettini di plastica sotto. Ogni "blocco"di ombrelloni di un colore diverso in pandan con il colore del lettino. A cominciare da occidente e procedendo verso oriente nell’ordine: bagno blu, bagno giallo, bagno rosso, bagno verde, bagno viola.
Duecentocinquanta ombrelloni circa per ciascun blocco per cinque uguale milleduecentocinquanta. Pur grande la spiaggia è divorata dagli ombrelloni. Ricordate il grazioso piccolo fiume che sfociava tranquillo sull’estremo lato occidentale a ridosso del capo roccioso? Dragato a dovuta profondità, ingabbiato in due tetri muraglioni di cemento per offrire comoda banchina di attracco al piccolo naviglio in transito e/o stanziale. Dulcis in fundo: vi ricordate le splendide dune di sabbia bianca dalle quali rotolavamo con grande gioia? Ci sono ancora, non le hanno spostate, per ora, ma nel bel mezzo è stata costruita, che ci crediate o no, una discoteca con tanto di strada per arrivarci in auto e comodo parcheggio assolato per parcheggiare. Provate ad indovinare come si chiama la discoteca? "Le dune".
Conclusione: un posto meraviglioso da strappare lacrime di gioia, praticamente distrutto.
Ma "valorizzato".
 
(Continua) 

SECONDA PUNTATA
all'inizio del mese di settembre dell'anno 2014


"Ma sapete che siete dei bei tipi!!?? Allora secondo voi bisognerebbe lasciare tutto così com’è. Abbandonato. Niente darsi da fare. Niente miglioramenti. Niente servizi al turista. Niente strade. Niente gabinetti.... - certo però che qualche albero per fare un po’ di ombra potevano lasciarlo; bah, forse si sono dimenticati o non ci hanno neppur pensato, .....bah -..... Ma soprattutto e prima di tutto niente LAVORO. Niente LAVORO! Lo ripeto. Ma vi rendete conto o no della quantità di lavoro che le valorizzazioni comportano? Prima per costruire un sacco di cose. Stradaioli, muratori, falegnami, boscaioli, elettricisti, fabbri e via discorrendo. Poi, a lavori conclusi, una infinità di gente in auto si riversa in luoghi fino a poco tempo prima quasi sconosciuti a spendere una fracca di soldi. Dal lettino con ombrellone in tinta, al gabinetto, al pedalò, al gelato, passando per il ristorante, il caffè, il bar, il parcheggiatore autorizzato con tanto di visiera e blocchetto ricevute, per non parlare di visti, licenze, permessi, burocraziavaria riscossione di tasse e tributi per le esangui casse pubbliche e tanto, tanto altro che tutto questo si porta dietro. Insomma Lavoro e Soldi per una fracca di persone altrimenti disoccupate! Ma vi rendete conto!!!!!!! Ma voi, per caso siete, contro il lavoro e per la disoccupazione???????

Hei Zorro cerchiamo di restare calmi! Esaminiamo la questione con pacatezza ed in modo approfondito.
Il tuo ragionamento sembra ineccepibile. Ma attenzione alle trappole!
Noi pensiamo che sia un ragionamento poco lungimirante. E cerchiamo di spiegarti il perchè. Se è vero, come è vero, che "valorizzare" in questa maniera porta indubbiamente, nei tempi brevi, una fracca di denaro ad una fracca di persone, ci ritroveremo, nei giro di un po’ di anni, non molti, a constatare una drastica diminuzione del giro d’affari. E perchè? Perchè proprio la "valorizzazione" ha fatto perdere completamente al posto tutta la sua magia. Ha distrutto il potere di attrazione o, se preferisci, l’attrattiva del posto. Dopo il breve boom iniziale la gente incomincerà a frequentarlo di meno. E sempre meno con il passare del tempo. Alla ricerca di posti più attrattivi. E ci ritroveremo come quello che ha preso una fava con due piccioni. Pochi soldi e attrattiva distrutta. Magrissimo affare. Ma bisogna avere la vista un poco più lunga.
Ti sentiamo già obiettare che con la magia e l’attrattiva "un se magna". E questo è vero. Ma solo per chi la vista ce l’ha corta. Molto corta, permetticelo, come te. Poi, quando dopo le ubriacature e le euforie arrivano puntuali i guai, piagnucoliamo senza più sapere a che santo votarci. Poi, non negarlo, non sappiamo che pesci pigliare quando assistiamo impotenti alla devastazione paesaggistica, psicologica e morale da una parte, e al blocco della crescita economica dall’altra. Due fave con un piccione. Ottimo risultato.

Abbiamo altre possibilita? Noi pensiamo di sì ma dobbiamo prima di tutto immaginarle. Con un’altra testa. . Esempio a seguire.
Il posto resta sostanzialmente quello che è: naturale.Viene pubblicizzato (lavoro) a dovere, per questa sua preziosa, attrattiva, magica caratteritica che tale deve rimanere e che si vuole rimanga. Una preziosa oasi di bellezza e di pace nel compulsivo frastuono della "modernità". Chi ci vuole arrivare deve lasciare l’auto e recarvicisi o a piedi o in bicicletta a noleggio (lavoro) o con navetta elettrica (lavoro). Niente di niente per quanto riguarda cosiddetti "servizi" vari. Acqua, panino, ascigamano e crema solare nello zainetto. Occhiali da sole e berrettino bianco con visiera già calzati. Lo stesso per il costume da bagno. Discreto punto di approvvigionamento all'ingresso per rifornirsi di questi indispensabili strumenti, zainetto compreso (lavoro). L’area potrebbe essere servita solo da discreti cestini per i rifiuti in materiale congruo (lavoro). Magari raccolta differenziata. Con efficientissimo servizio di smaltimento a riciclare (lavoro). Molto personale addetto alla pulizia del luogo. Spiaggia, boschi e tutto. Non solo nel senso di raccogliere cartacce, lattine, bottigliette di plastica e gli immancabili enormi quantitativi di fazzolettini di carta, ma nel senso più ampio di tenere il posto come un prezioso giardino ben ordinato. Ma lasciato assolutamente naturale così come madre natura lo vuole. Anzi, migliorando l’opera un tantino selvaggia della natura Solo abbattimento degli alberi morti e raccolta delle ramaglie. Magari piantumazione di giovani alberelli in sostituzione di quelli deceduti (moltissimo lavoro). Il naviglio di passaggio ha infinite possibilità di dare fondo in rada ("gettare" l’ancora).
Quello stanziale si trova un altro posto per ormeggiare in permanenza. Guardie ecologiche e/o accompagnatori sono a disposizione per illustrare storia, geografia, biologia marina e terrestre (lavoro). E per i gabinetti? ci dirai tu. Qui la nostra idea è veramente, audacemente, innovativa. Ai visitatori, rigorosamente a numero chiuso, diciamo non più di cento al giorno (questo, tra l’altro, fa salire alle stelle il "richiamo"), viene fatto omaggio di una graziosa e robusta paletta metallica reclinabile (lavoro), che verrà conservata per altre occasioni, con la quale verranno rigorosamente auto-interrate le eventuali bisogna dei visitatori. Su precise ed esplicite istruzionitecniche da parte degli accompagnatori. Come scrupolosamente ed ecologicamente fanno i gatti senza che nessuno glielo abbia mai insegnato. La cosa è favoritissima dal terreno estremamente soffice.
Come si vede il lavoro non mancherebbe. Solo che sarebbe un altro tipo di lavoro. Sicuramente con un’altra finalità da quella di portare a casa soldi costi quello che costi. Ma che alla lunga pagherebbe di più dell’altro anche in soldoni. E soldini. Moneta insomma.Si badi bene, potremmo ancora essere in Economia di Mercato. Semplicemente intelligente anzichè stupida. Ammesso e non concesso che l’Economia di Mercato in quanto Sistema possa mai essere intelligente. Le quotazioni del posto salirebbero alle stelle. Bisognerebbe prenotarsi con anni di anticipo. Il che farebbe fiorire una vera economia locale a sfondo culturale-ambientale. Insomma si tratterebbe di una vera valorizzazione. Vuoi del posto in quanto tale vuoi di tutto il circondario.
Ma, visto che l’immaginazione non costa niente ed è per sua natura senza limiti, potremmo disegnare scenari ancora più spinti e sconvolgenti. Ma, per questa estate, fermiamoci qui.  Lo faremo durante la prossima, quella del 2015. Se, come è prevedibile, la situazione economica italiana, nonchè globale, dovesse disgraziatamente peggiorare. Nel frattempo, con tutta la deferenza possibile, ti proponiamo di meditare.

Tuo affezionatissimo GRUV

(continua nell'estate 2015)


se vuoi comunicare con noi l'indirizzo è pensieridizorro@gmail.com


Terza puntata
Prima metà di settembre dell'anno 2014




Hei GRUV! Lo sapete che dopo aver letto i vostri post sul "valorizzaredistruggendo" ho scovato un documento strordinario: uno spot promozionale dell'Italsider di Taranto (ora Ilva) del 1959 che descrive come viene realizzato uno dei piu' grandi stabilimenti siderurgici d'Europa. E' una sceneggiatura con tanto di descrizione delle scene e voci fuori campo di quello che sara' poi il filmato.
Non so' perchè ma mi ricorda una vicenda simile che ha come protagonista la Montefibre di Verbania, piu' o meno stessi anni piu' o meno stessa fine, con tanto di processi per tumori provocati ai lavoratori e tanto di distruzione del paesaggio e dell'ambiente....! E le rovine ancora li' da vedere!
Buona lettura dal vostro affezionatissimo Zorro

Silenzio
"Lunga fila di pecore, belati, rintocchi dei campanacci che portano al collo.
Un pastore le guida con ampi gesti del braccio che impugna un bastone.
Un'altro pastore solleva faticosamente a mano un secchio d'acqua da un pozzo e lo versa nell'abbeveratoio attorno a cui le pecore si assiepano.Una locomotiva a vapore con due vagoni corre lungo la costa.
Sullo sfondo il mare.
Voce fuori campo
"Pecore, ulivi, terra arsa da cui affiora la candida roccia. In fondo il mare, un mare caldo, intenso. Questi i protagonisti di una storia millenaria il cui ritmo sembra scandito dalle eguali monotone arcate dell'acquedotto medievale che correva verso i colli della Puglia ionica e che oggi è testimone di un'età perduta".
Silenzio
Lenta carrellata sul profilo di una città bianca sullo sfondo. Lontani rintocchi di campane. La città finisce e la carrellata prosegue lenta sulla campagna, poi su un uliveto.
Silenzio
Grandi ulivi in primo piano e in primissimo piano un maestoso ulivo secolare.
Voce fuori campo
"Un mondo sonnolento, un destino umano che ha sempre avuto un nome solo: poverta'. Ma improvvisa una forza nuova. La macchina "Una ruspa abbatte l'ulivo secolare come fosse un fuscello."Ulivi secolari cadono come burattini di legno". Ne abbatte un'altro spingendo con la benna sul tronco. Primo piano sulla potenza meccanica della ruspa che avanza. "Cadono a pezzi le vecchie e bianche case dei contadini e dei pastori "Una ruspa cingolata piu' grande e piu' potente di un carroarmato sbriciola una masseria. La piccola torre del suo camino crolla e si frantuma sulle macerie. Carrellata su una distesa di macerie livellate.
"Le macchine hanno fatto il vuoto. Le mine compiranno l'opera".
Carellata su gruppi di operai con l'elmetto che con le perforatrici trapanano il suolo come fosse burro, collocano mine nei fori, le accendono e si allontanano di corsa. Raffiche di esposioni inquadrate da piu' punti di vista sollevano colonne di terra e proiettano massi in aria. Un reportage di guerra. Una ruspa con una benna gigantesca solleva enormi cumuli di terra e massi caricandoli su grandi camion. Compressori schiacciano il terreno sotto i loro rulli di ferro.
Voce fuori campo
"Non resta che un'immensa platea senza piu' ombre e segreti. Senza piu' canto del vento. I nuovi protagonisti: geometri, sterratori, muratori, carpentieri (....).  Dal suolo sorge una nuova, inattesa vegetazione. Grandi alberi d'acciaio piantati su cubi di sassi si vanno allineando in geometriche prospettive(...)
E' il primo passo verso una trasformazione profonda, che giungera' a mutare sostanzialmente il volto e la vita del mezzogiorno, del mezzogiorno agricolo, del mezzogiorno povero, del mezzogiorno fermo da troppi secoli all'avara civiltà dell'ulivo".

                                                                      
Dall'Archivio "Cinematografia Industriale" 1959
Tratto da "Sono io che non capisco" di M. Pallante
Edizioni MdF



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